Recensione – James Bond: Eidolon, di Warren Ellis

Pubblicato il 4 Maggio 2017 alle 10:00

“Il mio nome è Bond. James Bond.”

E’ questo l’unico elemento mancante al cocktail di bondiana perfezione che è il secondo volume di James Bond 007 scritto da Warren Ellis e pubblicato negli USA dalla Dynamite Comics (in Italia lo vedremo fra qualche giorno grazie alla Panini). L’emblematica frase non compare mai durante i sei albi contenuti all’interno del volume (che vanno dal #7 al #12 dell’edizione originale americana), ma per il resto Eidolon può vantare tutti gli elementi che un vero fan di James Bond si aspetta di trovare in una storia con protagonista il più amato agente segreto al servizio di Sua Maestà.

Al primo volume (Vargr) mancava qualcosa: si, era ricco di sparatorie, inseguimenti in auto, sottile umorismo british, assassini con arti cybernetici quasi del tutto psicolabili … eppure era privo di quel quid necessario alla consacrazione. Restava comunque un ottimo fumetto d’azione, ma non era al 100% Bond, non emanava totalmente quell’alone bondiano alla Sean Connery, o più recentemente dal primo Daniel Craig. Era più Spectre che Casino Royale, per farla breve. 

Con questo secondo arco narrativo Ellis corregge il tiro, e infatti Eidolon supera Vargr sotto ogni aspetto.

Un agente dell’MI6 infiltrata nello staff dell’ambasciata turca a Los Angeles è stata scoperta, e James Bond dovrà recarsi nella Città degli Angeli per prelevarla e riportarla in Inghilterra. Ciò darà il via ad un’intricata vicenda che coinvolge i servizi segreti di varie nazioni, tra soldi sporchi, fondi illegali e agguati, misteri e complesse lotte di politica interna che metteranno l’MI6 e l’MI5 uno contro l’altro. I colpi di scena si avvicendano mano a mano che Bond e i suoi colleghi si avvicinano al significato della parola “Eidolon”, un misterioso codice che sembra essere il fulcro dell’intera vicenda.

Ellis lascia che l’arte di Masters esploda in tutto il suo splendore – anche grazie ai colori sgargianti di Major – durante le scene più concitate, nelle quali elimina i dialoghi permettendo al lettore di seguire le fasi action nel silenzio della tavola. Le matite di Masters sbrigano il lavoro con aplomb, e la violenza – per quanto brutale – è sempre più viscerale che gratuita.

Quando sono i personaggi a doversi sviluppare e non la storia, allora Ellis sale in cattedra con dialoghi scaltri, umorismo tagliente (esilarante la scena con Felix Leiter) e frecciatine neanche troppo velate di critica sociale (emblematico il commento di Bond sull’utilizzo delle armi da fuoco negli Stati Uniti).

I cattivi di turno sono figli della crisi economica, vogliono intascare qualche quattrino a tutti i costi, e perfino le comparse (messe lì per beccarsi qualche proiettile da Bond) sembrano avere un’anima, una vita che li aspetta una volta riposta l’uniforme.

E’ un vero peccato che il team creativo non tornerà per il prossimo ciclo di storie (che si intitolerà Hammerhead e sarà realizzato ad  Andy Diggle e Luca Casalanguida), proprio adesso che avevano raggiunto la quadratura del cerchio e sfornato la perfetta versione contemporanea di un’avventura targata 007.

Però, come fanno i grandi, ci lasciano con stile.

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