Providence vol. 2: Continua l’inquietante viaggio di Alan Moore [Recensione]

Pubblicato il 15 Agosto 2016 alle 11:25

Continua l’inquietante viaggio di Alan Moore nell’universo tenebroso di H.P. Lovecraft! Non perdete il secondo volume di Providence, il capolavoro horror del Bardo di Northampton, illustrato dal bravo Jacen Burrows!

Quando si ha a che fare con un’opera di Alan Moore si sa che non si tratterà di un lavoro qualsiasi. Il Bardo di Northampton propone infatti letture analizzabili a più livelli, incentrate su una pletora di tematiche, non tutte immediatamente percepibili.

E’ così per il capolavoro Watchmen, geniale reinterpretazione del concetto del supereroe e analisi delle convenzioni narrative e dei cliché dei comic-book riguardanti i giustizieri in calzamaglia.

Ed è così anche per Providence, serie horror pubblicata dalla Avatar, il cui secondo volume esce ora in italiano con Panini Comics. Moore ha deciso di affrontare e interpretare gli stilemi della narrativa terrificante, avvicinandosi all’universo visionario di H.P. Lovecraft.

Naturalmente Providence è un fumetto horror a tutti gli effetti ma è molto più di questo: è l’analisi impietosa dell’animo tormentato e oscuro dello scrittore, una riflessione sull’idea di scrittura e la lucida e sconvolgente descrizione dell’America profonda, contaminata da inconfessabili pulsioni, quella che nel primo volume viene definita ‘America invisibile’.

E in effetti Providence è un viaggio attraverso questa America, compiuto dal giovane protagonista della serie, Robert Black, giornalista omosessuale che aspira a diventare romanziere. Per una serie di circostanze viene a conoscenza dell’esistenza di un libro che fa impazzire chiunque lo legga.

Facendo ricerche sul testo, si imbatte in bizzarri, agghiaccianti individui, che vivono in varie zone degli Stati Uniti. Inoltre, c’è una oscura organizzazione, la Stella Sapiente, forse legata a entità e a creature provenienti da altre dimensioni che certamente non possono essere definite umane.

Man mano che il viaggio di Robert prosegue, tuttavia, scopre pure cose su se stesso, non solo legate alla sua sessualità, ma alla sua concezione del mondo e della vita. In questo secondo tp che include i nn. 5-8 della testata originale, le esperienze di Robert diventano più inquietanti, per non dire terrificanti.

L’orrore evocato dal Magus è più che altro psicologico ma non per questo meno destabilizzante. Senza spoilerare, mi limito ad affermare che c’è una sequenza terribile imperniata su Robert e una tredicenne, Elspeth, che non potrà non scioccare il lettore.

Moore si impegna a rappresentare un ambiente popolato da professori universitari dai vizi inconfessabili, anziane signore che allattano orribili ratti dall’aspetto umanoide, fotografi in contatto con realtà parallele e ghoul che fanno incomprensibili discorsi. Tutto si svolge in un confine tra realtà e immaginazione.

Lo stesso Robert si chiede sino a che punto i suoi incontri debbano essere considerati autentici. Moore gioca con l’ambiguità, costruendo una costante, quasi insopportabile, atmosfera di tensione.

Inoltre, fa apparire scrittori come Lord Dunsany e persino Lovecraft, fonte primigenia di ispirazione del Bardo ed elemento essenziale di Providence, utilizzando dettagli della sua biografia e inserendoli nella story-line. Come per altre opere di Moore, Providence è piena di riferimenti letterari, filosofici e artistici.

Si citano le poesie di Whitman, le teorie di Freud e di Jung (specialmente nella sequenza ambientata nel sotterraneo), quelle sulla struttura spazio-temporale di Einstein. L’incedere narrativo di un episodio è anzi basato sulle intuizioni einsteiniane, con il povero Robert prigioniero di un loop onirico senza inizio né fine fatto solo di incubi.

Moore scrive testi intensi, profondi, di valenza letteraria, facendo largo uso di metafore e giochi di parole che a volte rimandano all’omosessualità, a volte alla rianimazione dei cadaveri. Utilizza particolari tratti dai racconti di Lovecraft (per esempio, il libro della saga si richiama al famigerato Necronomicom e il college visitato da Robert è un omaggio alla Miscatonic University) e di altri scrittori weird.

Si collega alle tradizioni esoteriche e alle tecniche dell’occulto (riflesso dei suoi interessi in questo campo) e ai simboli massonici. Insomma, la sceneggiatura di Providence è ricchissima di dettagli, sovente infinitesimali, che anticipano gli sviluppi della trama o ne spiegano il recondito significato. Vale per i nomi dei protagonisti, a cominciare da quello di Robert Black che fa venire in mente un altro celebre romanziere americano, Robert Bloch.

La serie abbonda di simili trovate e non si possono trascurare le appendici in prosa, basate sui diari di Robert, ennesimo esempio delle capacità di scrittura di Moore. Spetta a Jacen Burrows rappresentare il vastissimo, delirante universo concepito dal Bardo di Northampton.

Il penciler ha uno stile naturalistico, essenziale, fluido, non esente da eleganza e raffinatezza. Burrows è in grado di raffigurare efficacemente l’apparente tranquillità dell’America del 1919: un contesto quotidiano, rassicurante, quasi banale, ma che si rivela poi sconvolgente, dal momento che implica innominabili orrori.

Burrows è bravissimo nella rappresentazione dei paesaggi nebbiosi e cupi dei bassifondi o delle zone rurali devastate da orribili devianze; degli interni dei locali, degli squallidi alberghi ad ore, delle claustrofobiche biblioteche che conservano libri maledetti; dei sotterranei labirintici e degli appartamenti ben arredati abitati da scrittori, studiosi e intellettuali che non sono ciò che sembrano.

E’ altrettanto abile nella raffigurazione dei personaggi, tutti ben caratterizzati. Burrows sa evidenziare le loro contorte e morbose emozioni tramite gli sguardi, le smorfie, la piega delle labbra o certi particolari dell’abbigliamento con un talento mozzafiato.

Come ho scritto nella recensione del primo volume, Providence rappresenta per l’horror quello che Watchmen ha rappresentato per i supereroi. Un’opera spartiacque. Un’opera epocale. Un’opera che non può essere trascurata. Un’opera che, ancora una volta, dimostra senza ombra di dubbio che Alan Moore è e rimane il più grande scrittore di comics a livello mondiale.

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