Rise of the Tomb Raider: Il destino di un’icona – Recensione PC

Pubblicato il 1 Febbraio 2016 alle 12:58

Quando nel 2013 era arrivato nelle case dei videogiocatori Tomb Raider, il reboot della saga con protagonista la bella Lara Croft era parso chiaro che Crystal Dynamics per tenere ancora in vita lo storico franchise aveva deciso di correre qualche rischio.

Tre anni fa era infatti iniziata un’operazione di svecchiamento del brand, che dopo qualche anno di lavorazione ed un po’ di botulino aveva tentato di riportare la giovane archeologa ai fasti del passato.

Rise of the Tomb Raider, approdato ora su PC finito il periodo di esclusività per Xbox One, è il prosieguo della scommessa della software house californiana.

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L’EREDITA’ DELL’AVVENTURA

“You can do it Lara. Afterall, you’re a Croft” diceva Roth, padrino di Lara, nel primo capitolo del rinnovato Tomb Raider. E’ proprio questa la verità fondamentale attorno alla quale si basa il nuovo titolo di Crystal Dynamics, che racconta un viaggio in terre fredde e traumi del passato.

D’altronde fin dall’inizio sono molti i rimandi all’infanzia e al rapporto col padre dell’affascinante archeologa, così come abbondano anche le citazioni riguardo la precedente avventura vissuta dai giocatori nella pericolosa isola di Yamatai.

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Il gioco si apre con un inquadratura a dir poco meravigliosa, mentre Lara sta osservando le montagne siberiane, così affascinanti eppure così inospitali, come scopriremo a nostre spese nel corso dell’avventura. Insieme a lei c’è anche Jonah, uno dei sopravvissuti alle tragiche vicende accadute nell’isola governata dalla regina Himiko e raccontate nel precedente capitolo della serie.

Si parte così, tra arrampicate che ci danno la possibilità di ammirare gli stupendi scorci che si presentano ai nostri occhi e fughe adrenaliche per sfuggire alla violenza della natura.

Conclusasi questa sorta di prologo si passa dal freddo della Russia Orientale all’assolata Siria, in un flashback ambientato due settimane prima, in cerca della tomba di un misterioso profeta, ossessione anche del defunto padre della protagonista.

Egli è infatti collegato alla fonte dell’immortalità, al centro dei desideri dell’umanità e capace di garantire incredibile potere a chiunque ne entri in possesso. Putroppo le cose non vanno come dovrebbero e ci appare quindi chiaro il perché dovremo dirigerci in Siberia alla ricerca del magico artefatto; la presunta tomba del profeta è in realtà vuota e alle nostre calcagna vi è una tanto misteriosa quanto pericolosa società segreta: la Trinità.

Inizia così un’avventura che ci costringerà ad affrontare non solo le pericolose milizie che affollano le terre russe ma anche la Natura stessa, imparziale e crudele verso tutti coloro che si addentrano in territori così selvaggi.

Purtroppo nel corso delle oltre 15 ore necessarie al completamento della campagna (noi ce ne abbiamo messe 17 con un tasso di completamento del gioco del 65%) la trama non sempre si rivela all’altezza delle aspettative instillate nel giocatore dall’entusiasmante inizio del gioco.

In particolare risulta poco bilanciata soprattutto dopo le prime 4/5 ore di gioco, passando in alcuni casi in secondo piano rispetto all’esplorazione degli scenari.

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Chi si sarebbe aspettato da Rise of the Tomb Raider un titolo maturo, incentrato magari sulla psicologia della protagonista (come molti avevano immaginato dal primo trailer) si troverà parzialmente deluso.

Il seguito del reboot uscito nel 2013 è semplicemente il racconto di una delle prime imprese della giovane Lara, un vero peccato perché molti spunti presentati dagli sviluppatori e poi non sviluppati sarebbero stati particolarmente interessanti da seguire.

Un po’ come era successo anche nel precedente capitolo i ragazzi di Crystal Dynamics non sono riusciti completamente a convincere dal punto di vista narrativo, portando nei nostri PC una storia sì interessante ma ben poco innovativa ed originale.

E’ vero che in un contesto popolato dalle avventure di personaggi come Indiana Jones e Nathan Drake il compito che gli sviluppatori si erano proposti risultava particolarmente ambizioso, tuttavia la scrittura di determinati personaggi ed alcuni colpi di scena non ha di certo contribuito ad aumentare il valore dell’intera produzione.

A partire dal cattivo di turno, Konstantin, molti dei personaggi presenti non sono ben caratterizzati, anche a causa dell’incomprensibile scelta del team di sviluppo di inserire informazioni importantissime nei collezionabili, una delle quali è assolutamente necessaria per la completa comprensione degli eventi narrati.

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Resta quindi qualche dubbio al termine del gioco, insieme ad una serie di rimpianti per elementi che avremmo voluto veder presenti, ma nonostante tutto ciò dopo 15 ore di gioco Rise of the Tomb Raider riesce a divertire per tutta la durata dell’avventura, regalando anche qualche sorpresa e interessante anticipazione nel finale.

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L’ARTE DI MIGLIORARSI

Se dal punto di vista del gameplay il Tomb Raider di 3 anni fa aveva convinto critica e pubblico, il seguito riesce nella difficile impresa di migliorare quanto fatto precedentemente vedere.

Gli sviluppatori hanno notevolmente ampliato la mappa di gioco, allargando i vari scenari e sviluppandoli spesso su più livelli.

Da questo punto di vista il lavoro fatto da Crystal Dynamics è veramente eccezionale, grazie ad un level design accurato che ha pochi competitor nelle produzioni odierne. Le varie aree sono infatti ben progettate e si sviluppano sia in ampiezza che in altezza accentuando il senso di esplorazione che accompagna costantemente i giocatori.

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Non è però totalmente condivisibile la scelta di ambientare le vicende in un’unica location, al contrario di quanto ha fatto la fortuna dei vecchi titoli del brand e dei ben più recenti capitoli della serie Uncharted.

Per quanto molti scorci offerti dal gioco siano stupefacenti e riescano a lasciare senza fiato, molte delle ore le passeremo in ambienti piuttosto anonimi e non particolarmente scenografici.

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Al pari della mappa sono aumentate anche le cose da fare all’interno del titolo, garantendo una longevità invidiabile per un action/adventure.

Lodevole è infatti il lavoro svolto nei confronti delle tombe, seguendo molti dei suggerimenti forniti nel corso degli scorsi mesi dai giocatori e aumentando la loro importanza nell’economia di gioco. Si tratta però ancora di elementi opzionali non facenti parte della trama e che quindi sembrano ancora un qualcosa in più piuttosto che parti fondamentali del titolo.

Nonostante questo il design delle tombe è ottimo e regala delle ambientazioni suggestive che si accompagnano ad enigmi e puzzle ambientali spesso impegnativi.

In più occasioni sparisce poi la sensazione che aveva contraddistinto alcune sezioni del precedente capitolo, ossia l’impressione di trovarsi dinanzi ad elementi inseriti solamente per aumentare la longevità del titolo, a favore invece di sequenze incredibilmente ragionate.

Impressione che invece ci accompagna in occasione delle missioni secondarie che vengono assegnate dai vari NPC e che però costituiscono un’aggiunta troppo lineare e semplicistica per essere considerate un particolare merito da attribuire al titolo.

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Convince anche la componente di crafting e di potenziamento che risulta approfondita sia per quanto riguarda la creazione di munizioni ed armi che per quanto riguarda le abilità, alcune delle quali influenzano notevolmente le meccaniche di gioco.

Interessante anche la scelta di inserire le abilità migliori all’interno delle tombe, ricompensando quindi il giocatore per ogni location esplorata.

Non altezza però il feeling delle armi ed i combattimenti, decisamente meno impegnativi e avvincenti di molti rivali.

Se infatti l’arco garantisce un approccio che può variare da situazione a situazione, anche grazie a differenti tipi di proiettili, i combattimenti con le armi da fuoco risultano alquanto piatti e ben poco innovativi, così come molto scolastica è anche l’intelligenza artificiale deficitaria in particolare negli scontri ravvicinati.

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LA BELLEZZA HA UN PREZZO

Dal punto di vista tecnico ci troviamo dinanzi ad ottimo porting, caratterizzato da un notevole miglioramento soprattutto nelle texture e nell’illuminazione degli ambienti. I modelli poligonali dei personaggi principali e soprattutto di Lara sono incredibilmente definiti e sono accentuati da una grande accuratezza e varietà nelle espressioni, particolarmente sorprendenti durante le sequenze di intermezzo realizzate all’interno del motore di gioco.

Notevole è anche il famigerato Pure Hair (e il fogliame dinamico) che dona alla chioma castana della protagonista un livello di realismo semplicemente pazzesco. Purtroppo si tratta di opzioni grafiche particolarmente onerose in termini di carico computazionale e capaci di far calare notevolmente il framerate.

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Nella configurazione su cui è stato giocato il titolo, di fascia medio-alta e dotata di processore i5 6600, 8 GB di memoria ram e scheda video GTX-970 siamo stati capaci di tenere al massimo tutta l’effettistica, fatta eccezione per il filtro anisotropico e il fogliame dinamico, e di impostare la tecnologia Pure Hair in qualità molto alta ottenendo 60fps granitici con rarissimi cali nel passaggio da interni ad esterni.

Anche gli scenari traggono molto giovamento dal passaggio a PC grazie all’aumento di definizione delle texture che solo in rari casi rivelano la natura cross-gen del titolo e in generale non tradiscono le aspettative.

Qualcosa in più forse poteva essere fatta nel campo dell’effettistica che comunque traccia una netta differenza rispetto alla controparte console soprattutto in situazioni dinamiche grazie ad una accurata realizzazione di esplosioni, crolli ed effetti atmosferici.

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In definitiva si può tranquillamente affermare che Rise of the Tomb Raider è un ulteriore passo avanti compiuto da Crystal Dynamics nel riportare il fascino dell’archeologa ai fasti di un tempo.

Non si tratta però di un grosso miglioramento, tanto più che il gioco arriva corto in molti aspetti, primo fra tutti una trama che affascina nei momenti iniziali ma che poi scade in una pericolosa mancanza di spunti e di originalità. Il prodotto Square Enix è comunque un ottimo gioco, molto divertente nelle meccaniche di gioco e capace di regalare una quindicina di ore di intrattenimento di qualità.

E’ quindi un acquisto obbligato per tutti i fan della serie che non hanno collegata alla televisione la console di casa Microsoft e magari anche per chi, pur avendo già giocato il titolo, se lo vuole godere con una rinnovata e quanto mai entusiasmante veste grafica.

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