Herobear e il Bambino: l’eredità, di Mike Kunkel – recensione

Pubblicato il 15 Luglio 2015 alle 11:10

Arriva in Italia la pluripremiata serie scritta e disegnata dal cartoonist Mike Kunkel, incentrata sul giovane Tyler e il suo morbidissimo amico orso.

Tra tutti i periodi dell’anno quello di Natale è l’unico che durante la nostra crescita è in grado di suscitare dentro di noi sensazioni diverse a seconda dell’età. Comportarsi diligentemente, scrivere la letterina da inviare a Babbo Natale, lasciargli latte e biscotti la notte della Vigilia: da bambini il Natale era atteso con ansia spasmodica, poiché aveva una quid di magico e di meraviglioso.

Non che da grandi questa festa non sia avvertita come sinonimo di felicità e spensieratezza, ma è innegabile che con la fine dell’età dell’innocenza sia svanito anche il sense of wonder, lasciandoci un sapore di profonda nostalgia per quella magia ormai andata.

Non è un caso che la storia di Herobear e il bambino- l’eredità, scritta e disegnata dal cartoonist Mike Kunkel, si apra proprio durante il periodo natalizio. Per il piccolo Tyler, protagonista e narratore del racconto, è tempo di grandi cambiamenti: deve trasferirsi insieme alla sorellina e ai genitori in una nuova città e nella casa (con incluso un maggiordomo di nome Henry) del suo amato nonno, venuto tristemente a mancare proprio durante le festività.

In eredità dal defunto parente Tyler riceve un orologio da taschino rotto e un orso di peluche, due lasciti piuttosto particolari che in realtà, come molte altre cose della casa, non sono affatto ciò che sembrano. Toccandogli il naso, infatti, il peluche si trasforma in HeroBear, un orso polare parlante di 3 metri con tanto di mantello dal rosso sgargiante. Anche l’orologio nasconde una funzione ben precisa: può analizzare il livello di cattiveria/ bontà presente in ogni persona.

La vita in nuova città per un bambino di 10 anni come Tyler non è semplice, tra le difficoltà di integrazione nella scuola, la cotta per Vanessa e i maltrattamenti da parte dei fratelli Bullio; ma l’amicizia con Herobear gli permetterà di superare ogni difficoltà e dare sfogo alla sua fantasia, tanto da formare insieme a lui una coppia di supereroi, pronta a difendere la città dagli attacchi del robot a molla X-5, inviato dal malvagio Friedrich Von Klon.

Nel frattempo, il giovane protagonista comincia a farsi domande sul passato di suo nonno,  a causa degli atteggiamenti strani del maggiordomo Henry e di una lettera misteriosa ritrovata dentro l’imbottitura di HeroBear. Perché ha ricevuto proprio un orso polare e un rilevatore di bontà? Le risposte gli riveleranno una magica verità.

La Bao Publishing pubblica in Italia il primo volume della serie vincitrice dei premi Eisner nel 2002 e nel 2003 per “Miglior titolo per giovani lettori” e “miglior produzione a fumetti per ragazzi, realizzata da un artista, Mike Kunkel, che di produzioni artistiche per ragazzi se ne intende, avendo avuto esperienza come come animatore e sceneggiatore per studi cinematografici d’animazione quali Walt Disney e Warner Bros.

Intendiamoci, Herobear e il bambino non è un fumetto creato solo ed esclusivamente per un pubblico giovanile, dato che dai temi trattati, che si evincono dai titoli dei capitoli (infanzia, i sogni, l’eroe, la scoperta, fede), si comprende come Funkel abbia voluto soprattutto colpire al cuore della nostalgia dei lettori più grandicelli, riuscendo con successo a far strappare più di un sorriso e a far commuovere.

Come nelle strisce a fumetti di Calvin & Hobbes di Bill Watterson i protagonisti sono un bambino e un giocattolo di pezza vivente, due amici che insieme vivono avventure ai limiti della fantasia e osservano la realtà circostante. Herobear, però, non è un mero amico immaginario, anche perché può essere visto dalle altre persone: questo gigantesco orso polare col mantello dalle fattezze tenere è la personificazione dell’ingenuità fanciullesca, dell’eroismo (inteso come altruismo disinteressato), del valore dell’amicizia e dell’importanza della fantasia.

Il volo nel cielo che Tyler spicca insieme ad Herobear costituisce un’evidente metafora della fede, poiché quando crediamo in ciò che non vediamo compiamo un salto nel vuoto, e solo chi riesce a volerlo con il cuore può davvero volare e credere nell’impossibile.

Vedere non vuol dire sempre credere, ragazzo. Il più delle volte è il contrario.

Questa metafora della fede riferita soprattutto alla magia del Natale ricorda molto quella del suono del campanellino presente nel romanzo (poi divenuto lungometraggio d’animazione nel 2004) Polar Express di Chris Van Allsburg, in cui si puntualizzava come crescendo si diventi meno propensi a credere in tutto ciò che è irreale o sconosciuto.

Si potrebbe individuare anche una lieve critica alla società moderna ipertecnologica, diventata ormai troppo pigra e desiderosa di conoscere e avere tutto e subito, tanto da aver completamente dimenticato il piacere e il valore della scoperta dell’ignoto.

Qualche perplessità permane per la dilatazione eccessiva delle scene di battaglia, per un rappresentazione del microcosmo scolastico un po’ troppo stereotipata e per un approfondimento povero del background dell’antagonista; anche se a quest’ultima pecca l’autore pone rimedio con una mini-storia alla fine del volume che fa da prequel al racconto principale.

Sul lato grafico, l’unico dubbio riguarda la scelta di adottare un disegno a matita abbozzato  molto simile agli storyboard di un film d’animazione. Ovviamente si tratta di un effetto voluto, probabilmente per accentuare il senso di purezza e semplicità della storia, ma al di là del tratteggio che valorizza la profondità, rimangono visibili alcuni segni di matita che penalizzano un po’ l’impatto visivo.

Per il resto, bisogna riconoscere che Funkel ha impostato le tavole in maniera davvero originale, inglobando le figure dai movimenti dinamici in vignette dalle più svariate forme geometriche (soprattutto circolari e rettangolari) e utilizzando griglie sempre complesse. L’influenza degli studi d’animazione si intravedono facilmente: dallo stile morbido e caricaturale all’ affiancamento in un’unica vignetta della sessa immagine in pose ed espressioni diverse, fino al frequente uso di onomatopee.

Il rosso sgargiante del mantello di Herobear va ad intervallare il bianco e nero, costituendo non a caso l’unica nota di colore.

Proprio come i suoi protagonisti, Herobear e il bambino è un fumetto che spicca il volo in maniera graduale, sorprendendo, divertendo ed emozionando via via che ci si avvicina al gran finale. Quella di Kunkel non è una mera operazione nostalgia, ma una dolce esortazione a tornare a credere, a non restare sempre con i piedi per terra e a meravigliarsi dell’ordinario.

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