WildC.A.T.S. di Alan Moore Vol. 1 | Recensione

Pubblicato il 11 Febbraio 2018 alle 17:00

RW Lion ripropone le storie dei WildC.A.T.S scritte dal Bardo di Northampton, l’unico e solo Alan Moore! Non perdete una delle più particolari opere supereroistiche del Magus, valorizzata dai disegni di artisti del calibro di Travis Charest, Kevin Maguire, Dave Johnson e Ryna Benjamin!

Sebbene Alan Moore abbia dichiarato in diverse occasioni di non amare i supereroi, ha spesso e volentieri scritto serie di questo genere. Quando negli anni novanta l’Image si avvalse del suo talento, molti ne furono sorpresi, dal momento che il Magus si era allontanato dal fumetto mainstream, esplorando nuove strade espressive, con intenti polemici nei confronti del comicdom statunitense.

In realtà, la sua collaborazione con l’Image fu causata da necessità economiche. Tuttavia, bisogna ammettere che il materiale realizzato in quel periodo non è privo di qualità. E’ il caso della sua run di WildC.A.T.S., serie ideata da Jim Lee, pubblicata prima dalla Image e in seguito dall’etichetta dello stesso Lee, la Wildstorm. Come sanno i fan, oggi i personaggi Wildstorm sono parte integrante del DCU ed è la casa editrice di Superman e Batman a utilizzarli. RW Lion inizia quindi a proporre in volume la discussa gestione del Bardo di Northampton.

La squadra conosciuta come WildC.A.T.S. è composta da supereroi letali e aggressivi. Alcuni di essi appartengono ai Kherubim, alieni immortali impegnati a sventare le macchinazioni degli orribili Daemoniti, infiltratisi sulla Terra. In realtà, come spiegava Jim Lee nel corso della serie, il dissidio tra i Kherubim e i Daemoniti è secolare e coinvolge l’intero universo, a cominciare dal pianeta Khera, patria dei Kherubim.

Alan Moore iniziò ad occuparsi del comic-book a partire dal n. 21 e, come è solito fare, nell’arco di pochi episodi stravolse tutto, svolgendo un’operazione in un certo senso simile a quella di Swamp Thing. Infatti, il contesto narrativo muta radicalmente e gli stessi personaggi si rivelano diversi da ciò che sembravano. In questo volume che include i nn. 21-27 della testata originale ve ne renderete conto.

Innanzitutto, c’è un nuovo team chiamato WildC.A.T.S., guidato da Tao, l’essere creato dai genetisti della Optigen, e composto da Majestic e Savant che provano a reclutare altri membri, piuttosto instabili. Costoro agiscono sulla terra e danno il via a una campagna contro il crimine, con conseguenze devastanti. Ma la situazione peggiore la subiscono Zealot, Emp, Voodoo e gli altri character ben noti ai fan della collana. Tutti li credono morti ma si trovano su Khera e, come scopriranno a loro spese, il pianeta riserverà loro brutte sorprese.

Ciò dà la possibilità a Moore di descrivere ed esplorare una civiltà aliena, basata sul razzismo. Su Khera vige l’apartheid e non tutte le razze sono considerate uguali. I vari membri di WildC.A.T.S. incominceranno, loro malgrado, a farsi influenzare negativamente da questa società e i vecchi rapporti di amicizia subiranno radicali cambiamenti, specialmente quando apprenderanno verità sconvolgenti che mettono in discussione tutto ciò a cui avevano sempre creduto. Episodio dopo episodio, Moore si concentra su un singolo protagonista, che diventa il nucleo portante della trama, e inserisce il lettore nei suoi pensieri, scrivendo profondi e intensi monologhi che gli consentono di sfoggiare una molteplicità di registri espressivi.

Gli esiti migliori li raggiunge con Spartan, che si esprime con un linguaggio mutuato dai romanzi cyberpunk di Gibson e Sterling, e con Stone, che fa riflessioni ricche di citazioni artistiche e letterarie (caratteristica tipica della scrittura di Moore). Ma non mancano dialoghi ironici e sarcastici e momenti di azione, inseriti in una cornice fantascientifica influenzata dagli scrittori della new wave inglese. WildC.AT.S. è senz’altro più mainstream di altre opere del Bardo ma, nell’ambito dei fumetti supereroici anni novanta, è una delle più sofisticate e mature.

Le fantasie visionarie di Alan vengono visualizzate da penciler di tutto rispetto. Travis Charest ha uno stile plastico e dinamico, di grande impatto. Lo stesso vale per il bravissimo Kevin Maguire che ci dona tavole di innegabile raffinatezza ed eleganza. Ryan Benjamin, invece, ha un tratto più aggressivo, tipicamente Image style, e risulta efficace nelle sequenze d’azione, mentre è più convenzionale in quelle più tranquille. Da tenere d’occhio Dave Johnson e Scott Clark che realizzano pagine impreziosite da splendidi chiaroscuri.

In definitiva, se volete leggere un buon fumetto di supereroi che coniuga avventura e introspezione, non potete perdere questo volume.

 

 

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