La Tartaruga Rossa – Recensione

Pubblicato il 26 Marzo 2017 alle 12:00

Un uomo naufraga su un’isola deserta in seguito ad una tempesta e deve lottare per la propria sopravvivenza. I ripetuti tentativi di andarsene a bordo di una zattera vengono fermati da una grossa tartaruga rossa. Quando finalmente l’uomo riesce ad avere la meglio sulla testuggine, avviene una magica metamorfosi e si troverà al cospetto di una donna misteriosa.

E’ una parabola esistenzialista intessuta di realismo magico il primo lungometraggio animato dell’olandese Michael Dudok de Wit, premio Oscar per il corto Father and Daughter nel 2001. Anche La Tartaruga Rossa, primo film non giapponese dello Studio Ghibli, co-prodotto con le francesi Prima Linea e Why Not, ha ricevuto quest’anno una nomination all’Oscar dopo aver raccolto consensi all’ultimo Festival di Cannes.

Si empatizza subito con il percorso archetipico del protagonista, condizione riflessa dal linguaggio universale scelto dal regista. Si tratta infatti di un’opera priva di dialoghi, la narrazione è lasciata alla potenza evocativa dei disegni che rimandano alla limpidezza della ligne claire francese.

Il realismo della mimica corporea di personaggi ed animali indurrebbe a pensare che sia stata adottata la tradizionale tecnica del rotoscope che consiste nel ricalcare su attori in movimento. Gli animatori hanno invece fatto ricorso al più genuino animationalytique nella quale gli attori vengono usati solo come modelli e tutto viene ridisegnato.

La colonna sonora di Laurent Perez veicola le emozioni del pubblico in miracoloso equilibrio con i primordiali suoni della natura. Chiunque al mondo potrebbe fruire il film nella sua versione originale senz’alcun sottotitolo o alterazione di sorta. Il cinema nella sua dimensione più pura, quello che la settima arte, in teoria, dovrebbe essere sempre.

L’isola deserta è un microcosmo nel quale viene sintetizzato il ciclo vitale dell’uomo. I ripetuti tentativi di fuga del protagonista sono un’invana lotta per sottrarsi alla propria natura. La testuggine, creatura magica e misteriosa, imponente simbolo dell’universo, lo ricaccia indietro, lo costringe ad affrontare se stesso.

La maturazione dell’uomo passa attraverso un atto di pietà, il rosso della tartaruga diviene il colore dell’eros e della vita, incarnate nella figura femminile che diverrà sua compagna. L’isola, respingente all’inizio, si tramuta in una casa accogliente nella quale mettere su una famiglia.

La ciclicità della vita si riflette nella struttura circolare del film. L’uomo rivede se stesso attraverso le vicissitudini del figlio e una nuova tempesta sarà il rito di passaggio da superare prima del distacco.

Una vena di struggimento percorre tutta la narrazione verso un epilogo commovente e inevitabile, una riflessione, poetica e disincantata al contempo, sulla condizione della natura umana.

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