Doppia recensione: American Vampire

Pubblicato il 12 Gennaio 2011 alle 12:05

Autori: Scott Snyder, Stephen King (testi), Rafael Albuquerque (disegni)
Casa Editrice: Planeta De Agostini
Provenienza: USA
Prezzo: € 18,95, 16,8 x 25,7, pp. 200


Di questo fumetto si parla da tempo e si può affermare che era anche piuttosto atteso in Italia. Sappiamo pure il motivo: ammettiamolo, un comic-book scritto dal maestro dell’horror Stephen King suscita indubbia curiosità. Perlomeno, io ero incuriosito e di conseguenza non mi sono lasciato sfuggire il primo volume del serial Vertigo American vampire, che presenta i primi cinque numeri del mensile originale.

Come accade agli scrittori che, secondo certi snob, hanno la ‘colpa’ di vendere milioni e milioni di copie dei propri romanzi, Stephen King è amatissimo dai suoi fans ma non tanto dalla critica. Personalmente, lo apprezzo e lo considero un autore che, con il pretesto della narrativa di genere, ha saputo descrivere il lato oscuro e deviante dell’America più profonda, collegandosi, stilisticamente, alla grande tradizione narrativa statunitense iniziata con Mark Twain (e non esente, a volte, da tocchi faulkneriani).

Lo scrivo per farvi capire che non faccio parte di coloro che parlano male per partito preso di un autore solo perché ha successo. Tuttavia, mi domandavo: King saprà usare gli stilemi tipici di quella particolare forma espressiva che è il fumetto? Innanzitutto, va precisato che l’opera in questione è nata dalla mente di Scott Snyder e ogni episodio è composto da due storie parallele: la prima, ambientata negli anni venti, ai primordi di Hollywood, è scritta, appunto, da Snyder; e la seconda, appannaggio di King, è invece ambientata nell’America ottocentesca dei pionieri e degli avventurieri.

Si può senza dubbio dire che King ha dimostrato di saperci fare. American Vampire affronta una tematica abusata e cioè quella dei vampiri e si potrebbe definire, almeno per ciò che concerne la storia principale, come ‘Kenneth Anger incontra Bram Stoker’. Pearl Jones, aspirante attrice, finirà, suo malgrado, nelle mani di un gruppo di spietati produttori hollywoodiani che, per inciso, sono vampiri. E lei stessa si trasformerà in una succhiasangue.

La seconda storia, quella di King, ha come protagonista assoluto Skinner Sweet, il primo vampiro americano (e ha un ruolo predominante anche nelle vicende di Pearl, comunque), e le atmosfere sono un interessante mix di horror e western, in salsa pulp. Gli influssi della tradizione dei cosiddetti ‘dime novels’, infatti, è preponderante e King riesce a realizzare un’acuta disamina dei concetti di ‘storia’ e di ‘narrazione’ (c’è un anziano scrittore che racconta le avventure di Skinner), con collegamenti al mito western e all’immaginario hard-boiled.

Mito è forse la chiave di lettura dell’opera. C’è il mito di Hollywood. Quello del selvaggio West. E  quello dell’antica Europa, con il suo retaggio di miti ancestrali (simboleggiato dai vampiri) e la contrapposizione vecchio mondo/nuovo mondo è indubbiamente l’elemento più importante di American Vampire. Skinner Sweet è un vampiro perfettamente integrato nell’epoca contemporanea dominata dagli Stati Uniti; mentre i vampiri che gli si oppongono sono rimasugli di un passato destinato, se non a scomparire, a passare in secondo piano.

È bene aggiungere che i vampiri di Snyder e King non sono i soliti, languidi dandy debosciati alla Anne Rice o i consueti ragazzi dark e tenebrosi stile Twilight. No, questi vampiri, a cominciare da Skinner e Pearl, sono aggressivi, famelici, mostruosi. E malvagi. E il fumetto abbonda di momenti horror, con sangue, sparatorie, mutilazioni, inseguimenti, visualizzati dall’ombroso ed efficace Rafael Albuquerque. Nel complesso, lo ribadisco, King ha fatto un buon lavoro, così come Snyder. Tuttavia, non mi sono del tutto esaltato.

In ogni caso, American Vampire è valido ed è un’opera dalle molte potenzialità. Ma attenderò le uscite successive per formarmi un’opinione più articolata.


Voto: 7 ½

SERGIO L. DUMA

SECONDO RECENSIONE

In questo caso la DC Comics (o meglio la Vertigo, sua sottoetichetta per un pubblico adulto) si è dimostrata più abile della Marvel ad accaparrarsi il lavoro di una superstar come Stephen King, e per farlo è bastato attirare e stuzzicare il suo interesse con qualcosa di nuovo.
La Casa delle Idee infatti l’aveva corteggiato imbastendo svariate miniserie attorno alla sua saga letteraria della Torre Nera, ma lui di fatto non si era mai cimentato nelle sceneggiature, non era mai intervenuto in prima persona, delegando l’ideazione delle trame alla sua assistente Robin Furth, e ritagliando per sé un posto di supervisore artistico.
Con American Vampire tutto è andato in modo diverso, in quanto innanzitutto King conosceva e stimava già Scott Snyder per la sua raccolta di racconti intitolata Vodoo Heart, e poi per il fatto che questa è una vicenda molto affine ai gusti horror e gotici del romanziere del Maine. Come descritto nella prefazione del volume infatti, è stato proprio lui a offrire la sua collaborazione a Snyder, quando quest’ultimo gli chiese solo di fare un soffietto editoriale.
Ciò che ha invogliato King a prendere parte al progetto (imparando il mestiere di sceneggiatore grazie all’editor Mark Doyle, studiando gli script di altre importanti serie Vertigo, e seguendo così le orme di suo figlio Joe Hill, autore di Locke & Key) è stata l’originalità della storia, tanto semplice quanto innovativa. Snyder infatti ha avuto l’intuizione di utilizzare l’abusata tematica dei vampiri per parlare della nascita dell’America. La serie narra le avventure di Skinner Sweet, un immortale vampiro americano, in varie epoche della storia degli Stati Uniti, usando contesti e generi diversi, ma mantenendo sempre uno spirito horror di fondo.
In questo volume, che raccoglie i primi cinque episodi, vengono presentate due storie: quella di Pearl, giovane e aspirante attrice nella Hollywood degli anni ’20, e quella delle origini di Skinner Sweet, nell’Ottocento del Far West. Sono entrambe condite da sangue, violenza e situazioni macabre, ma la prima, ad opera di Snyder,risulta essere leggermente migliore. Si tratta in fin dei conti di una vicenda horror, in cui Pearl, in seguito all’attacco subito da alcuni vampiri della vecchia razza, viene trasformata in nuovo vampiro americano da Sweet per non morire, e fra sbudellamenti, complotti, tradimenti e una tiratissima love story, si prende la sua vendetta. La parte di King si dirama invece dalle parole di uno scrittore, Will Bunting, che ha realizzato un romanzo di successo: “Cattivo Sangue”, il quale narra l’epopea che portò il semplice fuorilegge Skinner Sweet a diventare il vampiro americano, primo di una nuova e più potente specie, generata e deviata dall’originaria razza europea. Nessuna delle due convince veramente fino in fondo, e malgrado le buone intenzioni, i due autori lasciano trasparire la loro condizione di esordienti nel mondo dei comics.
Avendo 16 pagine a testa per il proprio filo narrativo, per cui ogni episodio sfora dalle canoniche 22 tavole componendosi di 32, i due scrittori hanno dovuto stringere all’osso le vicende narrate, tagliando ogni situazione superflua. La lettura è molto densa di avvenimenti e appare spesso confusionaria, la storia non si prende mai i suoi tempi, gli avvenimenti si accumulano, e anche le scene più importanti scorrono via frettolosamente. La psicologia dei personaggi viene solo abbozzata, si fatica a capirli, e non diventano mai importanti per il lettore. Sembra quasi un ritorno ad un tipo di narrazione più antica, in antitesi alla rarefazione e allo sfilacciamento che contraddistingue le opere di autori moderni come, ad esempio, Brian Azzarello, Jeph Loeb, o Brian Michael Bendis. Lo stesso protagonista si limita a squartare le sue vittime e ad assumere pose misteriose, secondo una già consolidata scuola dei duri made in Vertigo. A voler fare un paragone, le varie saghe della Torre Nera hanno tutt’altro impatto, merito dell’atmosfera che Jae Lee e Richard Isanove hanno saputo dare alla parte grafica, e soprattutto di uno straordinario autore come Peter David, profondo conoscitore del mezzo, che ha dato un respiro epico alle storie.
Il tratto sporco e dinamico del brasiliano Albuquerque ricorda a volte quello del filippino Leinil Francis Yu, ma è più improntato verso l’horror. Sempre per la questione dell’intensità degli eventi ha poi giocato molto sulla composizione della tavola, dove le vignette si sovrappongono, cambiano impostazione, sono prive del contorno bianco e provano a uscire dalla pagina. Essendo poi il solo disegnatore a lavorare su due trame diverse, ha saputo mutare il suo stile (così come l’egregio colorista Dave McCaig), fino a sembrare un artista diverso. Risulta comunque molto meglio la parte inchiostrata di Pearl, rispetto a quella pittorica western. Le sue copertine sono pregevoli, anche se non brillano particolarmente, ma il volume è corredato da variant cover di artisti quali Paul Pope, Andy Kubert, J.H. Williams III, Bernie Wrightson e Jim Lee, nonché da schizzi, studi dei personaggi, e pagine di sceneggiatura.
Buona la traduzione e l’adattamento dei graffianti dialoghi da parte di Leonardo Favia, del team Bao succeduto alla Magic Press, peccato però per i numerosi refusi che funestano la lettura. L’edizione generale è molto pregevole, ma senza il cartonato sarebbe stata forse alla portata di più tasche.
Dopo il quinto numero Stephen King è sceso dalla carrozza, che ha continuato a proseguire (sempre con 32 pagine) nelle sole mani di Snyder, Albuquerque e un altro brasiliano: Mateus Santolouco (il cui blog è pieno di tavole mostruose).
Forse con più calma e più spazio a disposizione le trame imbastite avranno il respiro necessario a coinvolgere maggiormente il lettore, perché questo volume non lancia esclusivamente messaggi negativi. Ingranando potrebbe anche avere le caratteristiche per diventare un nuovo classico Vertigo, o chissà, materiale per una trasposizione filmica. Per adesso è una mezza delusione, che può giusto piacere ai fan più duri e puri dell’horror, anche se in giro si trovano fumetti dello stesso genere, molto meno blasonati e più pregevoli.

VOTO 7,5

BRUNO UGIOLI

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