CHiPs – Recensione

Pubblicato il 27 Luglio 2017 alle 22:52

Jon Baker, un ex pilota di motocross freestyle, costretto al ritiro da diversi infortuni e lasciato dalla moglie, cerca il riscatto diventando un agente della California Highway Patrol. Si ritrova a fare coppia con l’agente Frank “Ponch” Poncherello, nome fittizio dell’agente FBI sotto copertura Castillo che sta indagando su un caso di corruzione all’interno dei ‘CHiPs’.

Tutto il fascino dei CHiPs (acronimo composto dalle iniziali di California Highway Patrol che sta ad indicarne gli agenti in forza) è sintetizzato dalla sigla della serie originale, in particolare da quella della seconda stagione, quando l’iconico tema musicale originale di John Carl Parker venne riarrangiato ed irrobustito con buona enfasi epica da Alan Silvestri.

Nel prologo si verificava sempre un evento drammatico, un crimine, un incidente, qualcosa che atterriva il pubblico e creava la necessità dell’eroe. Poi partiva la sigla. Gli ottoni squillanti annunciavano l’arrivo dei nostri, Jon e Ponch, uno accanto all’altro a bordo delle rispettive moto. Dallo stemma dorato sul serbatoio delle moto scaturivano le lettere che formavano il titolo della serie in sovraimpressione e la musica assumeva una carica epica.

La sigla era una semplice sequenza che vedeva i due protagonisti farsi strada nel traffico di Los Angeles ma il montaggio esaltava i dettagli delle divise e delle moto rendendoli elementi iconici. I sorrisi di Jon e Ponch erano rassicuranti. “Andrà tutto bene”, dicevano quelle espressioni. “Tranquilli, adesso ce ne occupiamo noi.” Due normali agenti della stradale diventavano per il pubblico dei cavalieri dall’armatura scintillante. Quello che seguiva erano quarantacinque minuti di buona televisione, un action crime che mescolava dramma e commedia con miracoloso equilibrio. Un dramedy diremmo oggi.

I CHiPs rappresentavano tutto ciò che dovrebbe essere sempre un membro delle forze dell’ordine e una figura istituzionale, riferimento di cui avremmo bisogno tuttora, in tempi di graffiti ‘A.C.A.B.’ e di violenze sugli afroamericani da parte della polizia statunitense.

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, il periodo in cui è andata in onda la serie originale, i bambini sognavano di diventare CHiPs, avevano i giocattoli della serie tv e, i più fortunati, la motoretta elettrica della polizia (magari si facevano montare un paio di rotelle laterali dal padre perché erano troppo piccoli per saperci stare sopra in equilibrio) con la quale inseguivano il cane in giardino finché lo arrestavano o se lo lasciavano sfuggire perché la batteria della motoretta si scaricava.

Ecco, tutto questo hanno rappresentato i CHiPs all’epoca. E se vale la pena spendere tante parole per ricordare e celebrare la serie, altrettanto non può dirsi per la prima, sciagurata trasposizione cinematografica, uscita in enorme ritardo nelle sale italiane per rimanerci, si spera, il più breve tempo possibile.

“La California Highway Patrol non appoggia questo film. Per niente”, afferma il messaggio scherzoso in apertura che la dice comunque lunga sulla natura dell’adattamento, un buddy movie demenziale e vietato ai minori che vira più dalla parte del peggior Scuola di Polizia anziché trarre spunto da un buon Arma Letale.

Dax Shepard, regista e interprete di Jon, instaura una buona sintonia con il co-protagonista Michael Peña (Ant-Man), un Ponch dipendente dal sesso e vagamente omofobo. La cifra comica del film verte su funzioni corporali, nudità gratuite e battibecchi idioti, i personaggi femminili stanno lì a fare le donne trofeo e Vincent D’Onofrio interpreta sempre lo stesso cattivo. La componente action è lasciata ad un paio di inseguimenti vecchio stile, girati con stunt ed effetti pratici, pregevoli ma insufficienti per garantire uno spettacolo cinematografico di livello.

Se i protagonisti della serie originale erano due figure ispiratrici, qui siamo di fronte ad una pessima parodia che sminuisce e mortifica il concept originale. Erik Estrada, interprete del Ponch originale, ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco e compare in un cameo. Larry Wilcox, che prestava il volto a Jon, ha attaccato il film definendolo “una versione soft-porn di Scemo & Più Scemo“. Una cosa è certa. Wilcox ed Estrada indossavano quelle divise e quei distintivi con maggior dignità.

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