The Ring 3 – Recensione

Pubblicato il 18 Marzo 2017 alle 23:36

La giovane Julia si reca alla ricerca del suo fidanzato Holt all’università, scomparso dopo essersi interessato alla videocassetta maledetta di Samara Morgan che provoca la morte dopo sette giorni a chiunque la guardi. Julia indaga sull’oscuro passato di Samara a Sacrament Valley, dove la bambina fu sepolta, intenzionata a mettere fine alla catena di morti restituendole la pace.

Il passaggio dall’analogico al digitale non ha giovato granché alla maledizione di Samara, ideata da Koji Suzuki nel romanzo Ring, edito nel 1991, che mescolava antiche storie di fantasmi giapponesi all’elemento tecnologico moderno. Tra le diverse trasposizioni cinematografiche ricevute in patria, la più celebre resta quella diretta da Hideo Nakata che ha generato sequel, prequel, un recente crossover con il franchise gemello Ju-on (conosciuto anche col titolo americano The Grudge) e il remake a stelle e strisce di Gore Verbinski che ha avuto un sequel diretto dallo stesso Nakata.

Il titolo originale del nuovo episodio statunitense, Rings, denota la volontà di realizzare un reboot della saga che funge però anche da sequel, come dimostra il titolo italiano, forse anche più furbo sul piano prettamente commerciale. Lo spagnolo F. Javier Gutierrez, mancato regista del prossimo remake de Il Corvo, deve qui vedersela non solo con i suoi evidenti limiti ma anche con quel PG-13 che sembra spingere registi e produttori a realizzare horror nei quali non succede praticamente nulla per buona parte del film.

La storia si apre con un esagerato disastro aereo alla Final Destination, dinamica viziata da una coincidenza troppo tirata per i capelli. Matilda Lutz, una simil-Jessica Alba reduce dall’ultimo film di Muccino, è l’eroina dalle buone intenzioni, affiancata dall’anonimo Alex Roe, impegnata in un’indagine alla Supernatural che infila una sfilza di stereotipi del genere con qualche sporadico ed inefficace jumpscare. C’è da dire che dopo il primo omicidio nel campus dell’università, la protagonista si preoccupa in prima battuta più dell’eventuale tresca del fidanzato con la defunta che della tragedia in sé.

Ritroviamo Johnny Galecki, il Leonard di Big Bang Theory, ancora in veste di docente universitario, più geek tormentato e meno nerd imbranato, ma sparisce dopo la prima mezz’ora di film. Vincent D’Onofrio sembra aver preso lezioni dal cattolico Daredevil sul set della serie tv Marvel perché interpreta qui un prete cieco che rimanda, soprattutto nel finale, al recente Man in the Dark.

L’unica sequenza che riesce ad essere disturbante è quella d’epilogo anche se ampiamente spoilerata nei trailer. Naturalmente il cerchio non si chiude nella speranza di nuovi sequel ma il franchise è un fantasma sbiadito che non fa più paura, proprio come Samara.

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