Disincanto di Matt Groening – Stagione 1 | Recensione

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Nel regno medievale immaginario di Dreamland una principessa alcolizzata, un demone e un elfo di nome Elfo saranno la bizzarra compagnia che anima una storia storia tutto sommato gradevole, ma che non spicca mai il volo.

Dalla mente del creatore dei Simpson e di Futurama arriva Disincanto, la prima serie animata realizzata da Matt Groening per Netflix (le sue due serie precedenti sono state create per 20th Century Fox Television) e della quale la piattaforma ha richiesto all’autore la realizzazione di 20 episodi, i primi 10 dei quali sono disponibili da ieri su Netflix.



In breve e senza rivelarvi alcuno spoiler, Disincanto racconta le (dis)avventure in cui si imbatte la principessa Bean quando decide di mandare a monte le sue nozze programmate con il principe di Bentwood (il fine è una alleanza politica).



Iniziamo con una breve premessa: chi scrive è una fan accanita da decenni di Matt Groening per via del suo forte sarcasmo, delle battute demenziali e nonsense, delle trovate geniali e inaspettate, della caustica critica sociale e della forte caratterizzazione dei personaggi.

Ciò che rende memorabili alcune battute tratte dai Simpson e da Futurama è un senso dell’umorismo marcatamente spiccato (o spiccatamente marcato?), per cui sarebbe più che lecito aspettarsi dall’uomo che ha creato il professore che può collegare qualsiasi cosa a qualsiasi altra una serie nuova e originale che causi sovente risate isteriche come la scena in cui Homer sfonda una finestra di casa sua con dei biglietti della lotteria in mano e un pennarello su per il cervello.



A onor del vero, va anche detto che le ultime serie dei Simpson dimostrano un certo calo qualitativo, mancando del mordente delle serie precedenti, il che di per sé potrebbe bastare a far calare le aspettative per Disincanto, e io sono sicuramente fra quelli che si sono avvicinati con un misto di gioia e timore a questa nuova fatica di Matt Groening: in un certo senso, sapevo che non mi sarei potuta aspettare un capolavoro, ma la speranza è l’ultima a morire, come si suol dire, per cui posso ora affermare con certezza, dopo la visione della prima stagione di Disincanto, che la mia speranza non è ancora morta (ci sarà sempre la seconda stagione). Ha solo avuto un incontro ravvicinato con Drederick Tatum.

Disincanto è una serie che, nel complesso, scorre in maniera piuttosto fluida, ma che manca quasi sempre di mordente e di battute memorabili, presentandosi, dunque, come un prodotto che sembra vertere più sugli intrecci della storia narrata che sugli elementi, per così dire, più tipici delle altre creazioni di Groening.

Anche in Disincanto sono presenti alcune tematiche care al nostro Matt Groening, come la messa in dubbio della religione, in fortissimo contrasto con la scienza, anche se vista come più credibile e veritiera di quest’ultima, in maniera coerente  con l’ambientazione in un Medio Evo fantasy, la costante paura del diverso, che porta inevitabilmente al conseguente desiderio di sopraffazione del diverso in quanto non conosciuto, il che ha portato alla creazione di personaggi ignoranti nel senso etimologico del termine, perché, per l’appunto, ignorano, non conoscono.

La religione, poi, viene definita come una sorta di sistema che ha eretto chiese monumentali di dimensioni demenziali per venerare un Dio che forse nemmeno esiste e, soprattutto, per far sentire gli uomini piccoli nei suoi confronti. Ovviamente, al metodo scientifico vengono preferiti riti magici e/o religiosi.

La società è ovviamente prettamente maschilista, l’educazione delle donne e la loro indipendenza sono dunque malviste, mentre la vita nei bassifondi viene mostrata anche in maniera piuttosto cruda; Disincanto presenta infatti una certa presenza di scene sanguinolente, teste mozzate, interiora e quant’altro, ma non si tratta di splatter fine a se stesso, poiché è funzionale alla rappresentazione di un mondo crudele in cui le condizioni igienico-sanitarie non sono proprio il massimo a corte, figuriamoci nei bassifondi.

In questo, c’è dunque una volontà di mostrare un mondo arretrato, attanagliato dalle pestilenze e dalla povertà estrema, che spinge le persone più indigenti perfino a vendere i propri figli.

Nonostante questo, però, la caustica critica alla società che è una costante nelle opere di Groening è qui piuttosto scialba, come anche la maggior parte delle battute, con il risultato finale di un prodotto che sembra quasi abbozzato, ma che potrebbe essere una sorta di preparazione a qualcosa di più intenso, che magari è stato lasciato per la seconda stagione della serie. Non resta dunque che sperare in un innalzamento dell’asticella futuro.

Se volessimo paragonare Disincanto alle altre serie realizzate da Matt Groening, potremmo dire che si avvicina più a Futurama che ai Simpson. Parlando invece delle fonti di ispirazione a cui ha attinto Matt Groening, possiamo affermare che, come sempre, sono molteplici, come anche le citazioni e i cosiddetti Easter Egg, inseriti qua e là nelle varie puntate. Elencarli tutti sarebbe complesso, ma vi farò un bel po’ di esempi, così, per sollazzarvi, iniziando dai personaggi principali di Disincanto:

Sempre per quanto riguarda le autocitazioni, in Disincanto sono presenti alcuni Easter Egg, come l’inserimento in alcune scene di Spider Pork, dal film di animazione dei Simpson del 2007, la presenza di una “Guerra dei Limoni”, che ricorda la vicenda dell’albero di limoni di Springfield rubato dagli abitanti di Shelbiville, e quello che potete trovare qui di seguito, che non necessita di spiegazioni:

Disincanto condivide con Futurama anche la scelta di effettuare alcune riprese con un effetto tridimensionale, mentre le ambientazioni presentano una colorazione che verte principalmente sull’uso dei colori caldi e che fa venire in mente la pittura ad acquerello, il che contribuisce a creare una certa atmosfera vintage e classica.

Le citazioni e i riferimenti ad altre opere, poi si sprecano:

Matt Groening ha anche inserito alcuni riferimenti alla letteratura classica greca:

Disincanto è una serie animata per adulti ambientata in un mondo fantasy che sembra doversi mostrare ancora nel suo massimo splendore e caratterizzata da una narrazione fluida, anche se non sempre incisiva. Di sicuro le aspettative erano più alte rispetto a quello che è poi il risultato finale, per cui non resta che sperare in una seconda stagione più divertente, più avventurosa e in cui i personaggi possano mostrare al meglio le proprie caratteristiche peculiari.

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