Nonostante il settimo capitolo avesse promesso ai fan la conclusione della saga (il titolo, opportunamente scelto, recitava Saw 3D – Capitolo Finale), il machiavellico villain John Kramer torna ancora una volta in Saw: Legacy, film che rimescola le carte in tavola e ripropone al pubblico nuove stanze della morte, nuove torture e nuove indagini, che sotto il periodo di Halloween non fanno mai male.
Il perché è ovvio: il franchise di Saw è sempre stato molto remunerativo (costato 10 milioni di dollari, questo nuovo capitolo ne ha già incassati 30), e se hai una gallina dalle uova d’oro l’unica cosa sensata da fare è quella di tenerla al caldo nel pollaio, non certo tirarle il collo per farci il brodo: che quella gallina ormai sia vecchia e stanca e si trascini esangue senza gioia nello sguardo e senza la minima voglia di continuare a vivere, beh, poco importa, giusto?
Se non fosse già abbastanza chiaro la gallina della metafora di cui sopra rappresenta ovviamente questa saga (che è anche la prova vivente di come si possano ricavare ben sette sequel banali da un’ottima idea di partenza, ma che James Wan è un genio tanto a fare film quanto a venderli lo sapevamo già), saga che con Saw: Legacy gira in tondo senza andare da nessuna parte.
A bordo salgono i gemelli Spierig, registi australiani amanti dell’horror che all’attivo possono vantare i buoni Daybreakers e Predestination (ma anche il pessimo Undead): il film è ambientato 10 anni dopo la morte di Jigsaw, che anche dalla tomba sembra essere in grado di fare il birbante e infatti mentre la polizia inizia a trovare corpi mutilati in tutta la città, cinque sventurati si risvegliano in un vecchio granaio e vengono iniziati ai giochi perversi dello psicotico torturatore (ma è fondamentalmente una brava persona, il buon vecchio John Kramer, perché non vuole altro che le sue vittime confessino le proprie malefatte).
L’indagini in città proseguono parallelamente alle torture nel granaio e alla fine le due storyline si ricollegano con un colpo di scena che è un po’ figlio del primo Saw e un po’ arrampicata sugli specchi necessaria per dare un minimo di senso a quello che viene mostrato al pubblico per ’90 minuti. Le torture e i marchingegni ideati dal cattivo vacillano fra il ridicolo e il già visto, e osservando le nuove vittime prescelte e le sfide che devono affrontare di volta in volta, si ha la sensazione che non solo gli sceneggiatori (Pete Goldfinger e Josh Stolberg) abbiano perso l’ispirazione, ma che perfino Jigsaw inizi ad essere più ripetitivo che fantasioso.
I buoni livelli raggiunti nel mettere in scena il gore e la violenza grafica potrebbero soddisfare gli amanti del genere, per lo meno quelli che rientrano nella fascia d’età fra i quattordici e i sedici anni, ma non giustificano la narrazione schematica, ripetitiva e noiosa che sembra la brutta copia dei police procedural o uno spin-off cinematografico ed iperviolento di Cold Case.