Festival di Roma: Recensione – Into the Inferno

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Il nuovo film di Warner Herzog è un documentario sulla pericolosa maestosità dei vulcani. O forse qualcosa di più?

La talentuosa poliedricità del regista tedesco Warner Herzog è indiscutibile e non viene scoperta certamente oggi, né tanto meno dal sottoscritto. E lo dimostra il suo nuovo film, Into the Inferno, un viscerale saggio naturalistico sull’elegante potenza dei vulcani più pericolosi del mondo.



L’amore trasognato che Herzog prova per le colate di lava e le nuvole di cenere è radicata nella filmografia del regista: il mediometraggio del 1977 La Soufrière, un documentario sull’eruzione della Grande Soufrière, un vulcano nella Guadalupa francese, nacque improvvisamente durante le riprese di Cuore di Ghiaccio, interrotte per andare a filmare di gran fretta la lava del Soufrière.

Into the Inferno racconta del suo viaggio intorno al mondo, alla ricerca dei più pericolosi inferni di lava nascosti dalla crosta terrestre: una metafora, quella del male rabbioso sotto la pelle, sulla condizione di fragilità dell’esistenza umana.



Lo sguardo di Herzog è rapito dalla natura, è lo sguardo di un bambino che vede qualcosa per la prima volta, e la bravura del cineasta tedesco è quella di farci entrare nei panni di quel bambino per tutto il film.

L’intelligenza del regista è quella di capire che le domande che un bambino si porrebbe dinanzi alla magnificenza dei fiumi di lava non potrebbero mai essere di natura scientifica: e infatti l’epistemologia è lasciata da parte in favore del romanticismo (da buon tedesco, Herzog è in tutto e per tutto un romantico), e come ci ha insegnato Caspar David Friedrich le uniche domande che un romantico deve porsi durante l’osservazione/contemplazione della natura devono avere carattere filosofico e/o esistenziale.



L’antropologismo è solo scalfito, e neanche nelle testimonianze di chi vive all’ombra di quei vulcani, schiacciato dall’ansia e dalla precarietà infiammata che incombe ogni giorno, Herzog ricerca il punto fondamentale del film: il nocciolo della questione non è la soggettività dell’uomo, quanto l’oggettività dell’essere umano, fatto di substrati così fragili, come è paradossalmente fragile la durezza di un vulcano, pronto a esplodere da un momento all’altro.

Possiamo anche mentire a noi stessi e sforzarci di apparire indistruttibili come rocce, ma dentro di noi ribolle un magma violento pronto a sgorgare.

Il viaggio comunque ricopre il ruolo da protagonista, senza martellare continuamente e insistentemente sul chiodo del messaggio: anzi, all’improvviso, dopo circa 50/60 minuti di vulcani e lava, Herzog sorprende con un film dentro il film, quando concentra tutta la sua attenzione sulla Corea del Nord, Kim Jong-Un, Kim Il-sung e Kim Jong-il, e la loro assurda ed inquietante propaganda.

La cosa geniale è che, dopo circa mezz’ora di questo film nel film, non più incentrato sui vulcani ma sull’oscura dittatura della Corea del Nord, non si riesce più a capire a cosa si riferisca il titolo del film: l’inferno verso cui siamo diretti sono i vulcani? O la sporca politica coreana? O noi stessi, il nostro spirito, il nostro essere?

Into the Inferno è un trucco di magia, che ci dice di guardare qui quando la cosa più interessante accade di là,  sorprendendo, ammaliando, inquietando lo spettatore dal primo all’ultimo minuto. E anche un cavallo di Troia costruito ad arte per insinuarsi là dove non sarebbe stato possibile altrimenti.

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