Il Giappone e la dedizione ai manga: intervista a Igort

Categorie: Interviste
INTERVISTA IGORT
Durante il Napoli Comicon, dove è stato premiato con il Premio Micheluzzi per il Miglior Disegnatore, abbiamo incontrato il grande Igort per parlare della sua esperienza come mangaka italiano.

‘Manga’ non significa solo ‘fumetto’ in giapponese. I manga, come è ovvio che sia, si portano dietro qualcosa del paese, della cultura e delle persone che li hanno generati, qualcosa che è bello e utile esplorare e capire. Ancora di più se i manga (o i fumetti) devi farli.



Nella sua più che trentennale carriera Igort ha realizzato fumetti per editori di Giappone, Italia, Francia, collaborato con riviste storiche come Frigidaire e Metal Hurlant, fondato il collettivo Valvoline e la casa editrice Coconino, scritto e disegnato capolavori riconosciuti come 5 è il numero perfetto, Baobab o la serie dei Quaderni: Quaderni Russi, Quaderni Ucraini e Quaderni Giapponesi.

Igort

Quaderni Giapponesi (Coconino, 2015) raccoglie sensazioni ed esperienze dell’eclettico fumettista che a partire dai primi anni ’90 ha frequentato molto assiduamente il paese del Sol Levante sia per passione che per lavoro (anzi, le due cose sono impossibili da scindere): per la maggiore casa editrice del Giappone, infatti, Igort ha pubblicato i manga Amore (un seinen ambientato in Sicilia) e Yuri, storia a colori di un giovane alieno, serializzata su Comic Morning, che riscosse un grosso successo e ha portato l’autore a sperimentare i serrati ritmi del fumetto seriale nipponico.



Oltre a retroscena sull’editoria manga (sui quali ci soffermeremo nell’intervista), sui rapporti tra autori ed editor e agli incontri con leggende come Jiro Taniguchi e Hayao Miyazaki, Quaderni Giapponesi offre però la possibilità di conoscere aspetti anche poco esplorati del Giappone attraverso la sensibilità di uno straordinario narratore per immagini: riflessioni, passeggiate per strade solitarie o nei giardini dei templi, scorci di vita e pillole di cultura popolare.

Copertina di QUADERNI GIAPPONESI

Il tutto, come certifica il Micheluzzi al Miglior Disegnatore, con uno stile capace di mutare in base a ciò che racconta (il grigio “documentaristico” delle sezioni dedicate all’editoria, gli splendidi e colorati paesaggi che accompagnano i pensieri dell’autore, la storia nella storia della sfortunata Sada Abe) o riprodurre mimeticamente tanto quello di Hokusai quanto quello degli anime del periodo della Seconda Guerra Mondiale.



Durante il Napoli Comicon abbiamo intercettato Igort mentre era in partenza per un nuovo viaggio in Giappone e dato il poco tempo a disposizione e, beh, il fatto che siamo MangaForever.net, abbiamo parlato con lui della sua esperienza nel mondo dei manga.

MangaForever: Innanzitutto congratulazioni per il premio Micheluzzi.

Igort: Grazie

Siamo su MangaForever quindi non possiamo che parlare di Giappone. Lei quante volte è stato in Giappone per lavoro o per piacere?

Sono stato ventitré volte, adesso parto per la ventiquattresima.

Per lavoro? Magari una nuova serie per un editore nipponico?

No, no per fare un altro volume dei Quaderni Giapponesi.

Un’ottima notizia!
Lei ha collaborato a lungo con la Kodansha, come è iniziato il vostro rapporto?

Come racconto in Quaderni Giapponesi, ho iniziato a collaborare con Kadansha perché ero interessato a lavorare a storie lunghe; erano gli anni ’90 e mi affascinava la possibilità di sviluppare storie a lungo respiro che in Europa ancora non si facevano.

Nell’occasione ho proposto anche di far collaborare degli autori occidentali con autori orientali, un’idea che loro stavano sviluppando.

(Qui sopra: copertina e due pagine dell’edizione italiana di Yuri)

Pensando ad autori occidentali che hanno lavorato in Giappone mi vengono in mente lei, Moebius, Paul Pope, ultimamente Tuono Pettinato. Per la sua esperienza è più frequente che un autore occidentale ricerchi attivamente di affacciarsi in quel mondo, o che venga reclutato da un editore locale?

Ci sono situazioni molto diverse: quando io ho lavorato per la Kodansha eravamo soltanto io e Baru [Era seduto di fronte a me durante l’intervista! Come ho fatto a scordarmene? Nota di redattore], che siamo stati i primi due a farlo, con l’idea di creare una storia rivolta direttamente ai lettori giapponesi. Nel caso di Tuono Pettinato, lui ha fatto un libro sui Nirvana che è stato comprato dalla Kodansha.

La nostra idea, il nostro esperimento, era quello di utilizzare il linguaggio dei manga, un linguaggio che racconta attraverso una scansione narrativa molto diversa da quella occidentale a partire dal disegnare da destra a sinistra, nel verso in cui loro leggono.

I giapponesi sono molto legati alla loro tradizione, anche se ora sono pubblicati in tutto il mondo.

In generale gli autori che conosco, a parte Taniguchi [Jiro, ovviamente ndr] che è molto curioso e anche Otomo che conosce abbastanza il mondo della bande dessinée e del fumetto europeo, sono molto concentrati sul loro lavoro, hanno questo tipo di atteggiamento.

A proposito di artisti giapponesi nei Quaderni lei parla del contrasto, se vogliamo, tra appunto gli artisti da Hokusai a Tezuka e l’industria, in quel caso gli stampatori che cambiavano il loro lavoro per renderlo più semplice e aderente a ciò che era popolare. È qualcosa che lei ha mai incontrato, in Giappone o in Italia?

No, personalmente non ho avuto molte esperienze negative di questo tipo. In quei casi era una questione di tecnologia, Hokusai è vissuto tra fine ‘700 e inizio ‘800 e Tezuka ne parla all’inizio della sua carriera quando le lastre per la stampa venivano composte a mano.

Le conquiste tecnologiche modificano le cose, adesso si possono fare dei fumetti e metterli direttamente in rete.

Un’esperienza non facile che invece racconta nel suo libro è il cosiddetto “Trattamento” al quale è stato sottoposto da parte del suo editor alla Kodansha…

Loro lavorano con gli autori in una maniera che comprende anche un certo sacrificio, lavorano moltissimo e sono molto dediti alla storia.

Masashi Tanaka, l’autore di Gon, ha lavorato per un anno e mezzo prima di decidere di fare Gon muto e le tavole che aveva fatto fino a quel momento, i risultati di un anno e mezzo, le hanno buttate. Fa tutto parte di una tensione verso la meta per ottenere un risultato, non era un problema.

In una delle prime bellissime pagine di Quaderni Giapponesi, che raffigura gli scaffali di una libreria, si vedono anche alcuni titoli contemporanei come All you need is kill [di Takeuchi-Obata]. Lei oggi segue la scena manga?

Sono interessato a qualunque cosa venga fuori che sia nuova e affascinante. Non ho preclusioni di sorta.

Ora mi interessano anche manga più vecchi, non so, rileggere adesso Rumiko Takahashi, che è stata una pioniera di una narrazione di ampio respiro. Sono sempre alla ricerca di cose nuove.

Chiudiamo chiedendole, da parte di coloro che ci leggono e sognano magari di fare fumetti in Giappone: qualche consiglio?

Non somigliare ai giapponesi stilisticamente. Loro sono interessati a qualcosa che giudicano esotico. Adesso la Shogakukan sta pubblicando molti fumetti europei che non hanno niente a che vedere con i manga.

Quando ero lì ho visto un concorso della Kodansha e loro guardavano molto sconcertati i nostri fumetti che imitavano i loro, non capiscono perché. Evitate di farlo.

Grazie per la disponibilità e ancora complimenti.

Grazie a te.

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