Senza le doujinshi (letteralmente “Riviste di persone con gli stessi interessi”) probabilmente oggi non conosceremmo Rumiko Takahashi (Lamù, Inuyasha), Koshi Rikdo (Excel Saga), Monkey Punch (Lupin III) e tanti altri mangaka che hanno iniziato la loro carriera su questi albetti stampati in proprio e venduti solitamente in occasione di raduni di appassionati (il più famoso dei quali è senza dubbio il Comiket) o, negli ultimi anni, in distribuite in rete.
Non è difficile trovare online neanche le traduzioni in italiano di queste storie che prendono personaggi di anime e manga in voga e li usano per racconti inedite o di generi altri rispetto a quelle dell’opera originale, come ad esempio i lati romantici dei protagonisti degli shonen; e ovviamente le doujinshi hentai sono tra le più diffuse. L’economia che gira intorno a queste pubblicazioni è enorme: il già citato Comiket, mercato che si tiene a Tokyo in cui i “circoli” di fumettisti amatoriali vendono le loro doujinshi, è forse la manifestazione fumettistica più grande del mondo e richiama ad ogni edizione centinaia di migliaia di persone (quasi 600.000 nell’estate 2013; manga come La figlia dell’otaku offrono interessanti spunti sul Comiket e sul mondo delle doujinshi).
I problema è che le doujinshi sarebbero illegali: i personaggi sono riprodotti senza il permesso dei detentori dei diritti ma all’intero movimento è stato concesso di vivere in una “zona grigia” dalle case editrici, probabilmente più interessate a sfruttare la popolarità e i nuovi lettori che le riviste amatoriali potrebbero portare ai loro prodotti che a denunciare la violazione della legge sul copyright (senza contare che numerosi mangaka, come Kazushi Hanagiwara di Bastard!! e Ken Akamatsu di Love Hina, arrotondano vendendo doujinshi delle loro stesse opere).
Questo però fino ad oggi: in Giappone sono da poco entrate in vigore le norme contenute nel Trans-Pacific Partnership, un accordo economico tra paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico che prevede tra le altre cose l’inserimento della violazione del copyright tra i reati perseguibili anche senza una denuncia precisa della vittima; in pratica, anche se la casa editrice non denuncia l’autore di una doujinshi, da ora le autorità possono comunque muoversi in autonomia per bloccarne la produzione e la diffusione. Inutile dire che la vicenda ha scatenato polemiche e causato preoccupazione tra autori e appassionati, tanto che a sorpresa lo stesso governo giapponese è intervenuto con una conferenza per cercare di rassicurare tutti che poco cambierà.
La mossa ha però convinto solo in parte e c’è già chi lamenta la fine di quella che è stata una componente importante della cultura e dell’intrattenimento giapponesi per molti anni; altri però vedono una maggiore regolarizzazione delle doujinshi come un’opportunità per riportare il movimento ad una dimensione più gestibile e contro l’eccessiva commercializzazione attuale, auspicando un futuro in cui la diffusione avvenga solo online e gratuitamente. Una situazione non facile per l’industria e le autorità nipponiche; per ora le doujinshi sembrano al sicuro, ma per queste pubblicazioni da decenni palestra per giovani autori e valvola di sfogo (o fonti alternative di guadagno) per affermati professionisti è indubbiamente alle porte un cambiamento epocale.
(Immagini da ready-up.net e bartman905)