L’operazione Rinascita della DC continua e finora si è rivelata interessante. La casa editrice statunitense ha deciso infatti di porre fine all’esperienza New52, riprendendo diversi elementi narrativi che dopo Flashpoint erano stati accantonati. L’obiettivo è realizzare storie al passo con i tempi, mantenendo un collegamento con il passato più classico. Nel caso di Wonder Woman, tuttavia, le cose finora sembrano problematiche.
La collana del Rebirth è stata infatti affidata a Greg Rucka, di solito a suo agio con i personaggi femminili. Con la Principessa Amazzone, tuttavia, non pare che stia dando il meglio di sé.
L’autore sta analizzando le origini di Diana ma ha impostato la story-line in questo modo: c’è una prima sequenza narrativa che si occupa dei primi passi di Wonder Woman come supereroina; e una seconda, ambientata nel presente, che la vede alla ricerca del suo passato. Queste due parti, però, non vengono raccontate in maniera lineare. Rucka le alterna, albo dopo albo, è il risultato è piuttosto cervellotico e poco coinvolgente.
In questo settimo numero dell’edizione Lion, Diana arriva in America in compagnia di Steve Trevor. Oltre a riportare a casa l’uomo, finito a causa di un incidente sull’isola di Themiscyra, Diana ha l’obiettivo di scoprire il mondo esterno. Rucka, in questo contesto, ce la presenta come una donna ingenua e confusa, non a suo agio in un ambiente che non conosce e non comprende.
Descrive quindi il lato più vulnerabile della sua personalità. Al contempo, introduce Barbara Ann Minerva, la futura Cheetah, e coloro che seguono regolarmente l’albo sanno già che ha un ruolo rilevante nelle vicende del presente.
In ogni caso, non si comprende ancora dove voglia andare a parare Rucka e l’episodio è semplicemente interlocutorio ed esile, con testi e dialoghi sull’anonimo andante. Solo i disegni plastici ed eleganti di Nicola Scott rendono più piacevole la lettura; ma, in definitiva, anche stavolta Wonder Woman purtroppo si conferma come una delle serie più deboli del Rebirth.
Inizia poi una nuova collana: Superwoman, che prende il posto della miniserie di Poison Ivy conclusasi nel numero precedente. Scritta e disegnata da Phil Jimenez, si collega alle avventure di Superman. A Metropolis, l’Uomo d’Acciaio del periodo pre-Flashpoint è tornato in azione, dopo la morte del Superman del New52. C’è anche Lex Luthor che, per ragioni tuttora misteriose, agisce da eroe, rivendicando lo stesso nome.
E adesso spunta Superwoman. Chi è? Nientemeno che la Lois Lane del New52 (da non confondere quindi con la legittima consorte dell’attuale Superrman). Per una serie di circostanze, ha ottenuto superpoteri e ha deciso di combattere il crimine.
Si è addestrata con l’ausilio di Lana Lang; ma anche quest’ultima ha assunto abilità meta-umane e, come vedremo in questo numero di esordio, all’occorrenza opera pure lei con il nome di Superwoman. Abbiamo dunque due superdonne a Metropolis!
Vi sembra complicato? Forse lo è, ma Phil Jimenez crea le premesse di una trama godibile e divertente, riuscendo a stimolare la curiosità. Superwoman è perfettamente inserita nell’ambito narrativo delle testate di Supes, ha un classico tono supereroico e può vantare testi e dialoghi riusciti. Anche i disegni sono di buon livello e uno dei meriti di Jimenez è quello di impostare tavole di grande efficacia con un lay-out mutevole e inventivo.
E’ presto per dare un giudizio preciso su Superwoman. Potrebbe diventare una delle serie migliori della DC così come una delle peggiori. Tuttavia, le dinamiche psicologiche esistenti tra Lois e Lana sono intriganti e una serie comunque incentrata su due character femminili indubbiamente accattivanti come questi è da tenere d’occhio.