Uno dei punti di forza della seconda stagione di Orfani è stata la collaborazione ai testi tra Roberto Recchioni, co-creatore della serie che ha una spiccata predilezione per l’action, e Mauro Uzzeo, che predilige un approccio più intimista alla narrazione. La riuscita dicotomia tra i due autori viene riproposta anche in questo quarto albo della terza stagione e si rispecchia non solo nella struttura della storia ma anche in una sorta di braccio di ferro tra la cinica filosofia di Recchioni e quella più sentimentale di Uzzeo.
Nei primi tre numeri abbiamo seguito le vicissitudini di Rosa e compagni. Qui facciamo un salto temporale all’indietro di quattro settimane per percorrere la linea narrativa parallela di John, protagonista assoluto di quest’albo. La prima parte della storia è totalmente improntata all’action ed è estremamente divertente anche se non denota nulla di davvero originale rispetto a quanto visto in precedenza.
Il disegni di di Maresca e Casalanguida e le suggestioni multicromatiche di Nicola Righi, Luca Saponti e Giovanna Niro forniscono la consueta efficacia sul piano visivo e la costruzione della tavola si adatta al progredire dell’azione con tutti gli espedienti necessari per amplificarne la spettacolarità: continui cambiamenti nell’angolazione di ripresa, linee cinetiche, onomatopee e mostri che strabordano dalle vignette con un effetto tridimensionale fino alla culminante splash-page nella quale entrano in scena veicoli giganteschi e rombanti.
Sotto il profilo scenografico, la baraccopoli dal forte sapore post-apocalittico che funge da insediamento degli schiavisti con tanto di bestiame alieno può richiamare alla mente diverse opere di fantascienza tra cui il film District 9 di Neill Blomkamp. Nel prosieguo, la vicenda va ad inserirsi nel filone tematico dello schiavismo con qualche lievissimo accenno anche a certi horror d’ambientazione rurale. La componente intimista è fornito dal diario vocale di John che diviene più che altro un dialogo interiore.
“Vinciamo noi!”, espressione che è recentemente diventata anche un fallimentare slogan elettorale, viene ripetuto in maniera cinicamente beffarda. Come ci ha abituato ormai la serie, alla fine il crudo realismo vince contro qualsiasi ingenuità emotiva e i lettori hanno lo stomaco ormai allenato ai pugni che gli autori continuano a riservargli.