Figlio di Un Preservativo Bucato di Howard Cruse – Recensione

Pubblicato il 11 Aprile 2013 alle 16:30

La DC non è solo Superman o Batman ma ha anche un posto per l’underground di Howard Cruse! Non perdete Figlio di un Preservativo Bucato, una delle proposte più incisive della casa editrice statunitense, tradotta in un volume da Magic Press!

Figlio di Un Preservativo Bucato

Autore: Howard Cruse (testi e disegni)

Casa Editrice: Magic Press

Genere: Underground

Provenienza: USA

Prezzo: € 15,00, pp. 216, b/n

Data di pubblicazione: 2012


La DC non smette mai di stupirmi ed è sorprendente considerare che la casa editrice di Superman, Batman e Wonder Woman è pure quella che pubblica un gioiello underground come Stuck Rubber Baby di Howard Cruse, tradotto da Magic Press con il titolo Figlio di un Preservativo Bucato. Tuttavia non dovrei sorprendermi poiché la DC è anche l’etichetta della linea Vertigo. O di quella Paradox che originariamente propose appunto questa graphic novel.

Se penso poi che in tempi recenti alcuni lettori negli Stati Uniti hanno polemizzato accusando la DC di omofobia perché fa lavorare un autore anti-gay come Orson Scott Card mi viene da ridere poiché evidentemente ignorano che i personaggi gay negli albi DC sono sempre stati presenti: il Commissario Sawyer nelle storie di Superman; Extrano dei New Guardians; la coppia lesbo Hazel e Foxglove nei fumetti di Sandman e Death; e in tempi più recenti la Lanterna Verde Alan Scott nel comic-book Earth 2 e Batwoman che è protagonista di una serie.

Avrete già intuito che l’opera in questione affronta il tema dell’omosessualità, sebbene si discosti dagli stereotipi. E bisogna puntualizzare che Howard Cruse sin dagli anni ottanta si è messo in luce come uno dei cartoonist gay per eccellenza, grazie a lavori eversivi e provocatori come Barefootz e Wendel e la sua attività di editor della rivista Gay Comix. La graphic novel si concentra, in maniera poetica e delicata, sulla discriminazione ma non ha a che fare esclusivamente con l’omosessualità.

La vicenda narrata da Cruse non è autobiografica ma risente delle sue esperienze giovanili collegate al clima contestatario degli anni sessanta. In quel periodo di fermenti politici e sociali, il pacifismo, le proteste studentesche contro la guerra del Vietnam, la rivoluzione dei figli dei fiori, il movimento dei diritti civili e, last but not least, quello della liberazione gay contribuirono a provocare tensione nei diversi settori della società statunitense. A Clayfield, tipica cittadina del Sud degli Stati Uniti, vive Toland, il giovane protagonista della storia. Ha due genitori non molto colti ma che sono brave persone, pur avendo qualche pregiudizio. Impediscono a lui e alla sorella di usare la parola ‘negro’, per esempio, ma sono condizionati, senza rendersene realmente conto, dall’educazione segregazionista ricevuta.

I neri non possono entrare in certi locali, il razzismo dilaga e le autorità, trincerandosi dietro errate concezioni di patriottismo e cristianesimo, tendono a sostenere questa situazione. Toland cresce pressappoco come gli altri ragazzi del posto ma per una serie di circostanze entra in contatto con gente che i buoni, perbenisti e bigotti abitanti di Clayfield tutti religione e valori tradizionali non apprezzano: attivisti per i diritti civili, artisti da night-club e omosessuali. Toland è ingenuo e non riesce nemmeno a capire quale sia la sua sessualità. Le ragazze del resto lo attraggono e un’amica, Ginger, parrebbe perfetta per lui.

E Ginger, ribelle, coraggiosa, anticonformista, coinvolta nelle proteste, non è insensibile al fascino di Toland. I due condividono tante cose ma c’è qualcosa che il ragazzo, almeno in un primo momento, non le rivela: prova desiderio anche per gli uomini. All’inizio cerca di ignorare la cosa, di reprimerla; ma poi tutto cambia e la situazione prende una piega imprevista e drammatica. Cruse delinea una vicenda che mette sullo stesso piano omofobia e razzismo nei confronti della popolazione nera, partendo da vicende personali che diventano presto lo specchio di altre di portata collettiva che coinvolgono non solo l’intera comunità di Clayfield ma gli Stati Uniti dell’epoca di Kennedy e di Martin Luther King.

Ecco quindi che Cruse inserisce in una story-line corale poliziotti sadici che disprezzano e maltrattano i gay; esponenti del Ku Klux Klan pronti a uccidere un nero di fronte al figlio; uomini irreprensibili ma ignoranti che leggono giornalacci reazionari; politicanti corrotti che fomentano l’odio. E non mancano studenti attivisti e frequentatori di locali omo dediti al fumo, all’alcol e alla musica afro, simboleggiata da un’anziana cantante moglie di un predicatore battista. In poche parole, Cruse realizza la cronaca di un momento cruciale della storia americana in cui i figli si ribellarono ai padri (significativa l’incredibile sequenza di un giovane che sbatte in faccia al padre paralitico che lo ha sempre disprezzato tutto il suo essere un ‘pervertito mischiarazze’).

Il dramma, la malinconia e il dolore sono onnipresenti ma sempre contrassegnati da grande poesia. Basti prendere in esame i dialoghi sinceri e aperti tra Toland e Ginger, per esempio, subito dopo il loro primo rapporto sessuale; o quelli tra Toland e la sorella, una donna semplice che cerca di andare avanti in un mondo impazzito. E uno dei punti di forza del volume è la sceneggiatura. I testi sono profondi e introspettivi, degni di un romanzo, con echi di Faulkner e di Tennesse Williams, e i dialoghi farebbero la fortuna di qualsiasi film. E si rilevano collegamenti a Bob Dylan, alla musica folk, alla morte efferata dell’attore Sal Mineo, a Billie Holiday.

Ma l’altro elemento che rende Figlio di un Preservativo Bucato una pietra miliare è la parte grafica. Lo stile di Cruse è eccezionale. Con un bianco e nero reso suggestivo da uno splendido tratteggio, Cruse caratterizza in modo impeccabile i personaggi e riesce a rendere in maniera visivamente convincente il look dell’epoca. Lo si capisce osservando i maniacali, certosini particolari degli abiti, delle acconciature, del mobilio, delle automobili. Si deve tenere presente che la graphic novel fu concepita all’inizio degli anni novanta, quando cioè l’utilizzo della rete non era scontato; lo stesso Cruse infatti svolse parecchie ricerche nelle biblioteche allo scopo di trovare foto e illustrazioni originali del periodo. Questa è una storia che non parla esclusivamente di omofobia ma che la include in un ambito più pernicioso: quello del razzismo tout court. E che dimostra per l’ennesima volta il valore di una casa editrice chiamata DC Comics.


Voto: 8

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