Macchine Mortali di Christian Rivers | Recensione

Pubblicato il 13 Dicembre 2018 alle 18:00

Arriva in Italia Macchine Mortali, nuovo film scritto e prodotto da Peter Jackson.

Ci sono così tante idee e spunti del cinema fantascienza dentro Macchine Mortali che più di guardare un film si ha l’impressione di assistere ad una lezione accademica sul genere di riferimento. Il grosso, grossissimo problema però è che il professor Christian Rivers è particolarmente svogliato, la sua lezione è piatta e gli studenti li respinge piuttosto che catturarli, con argomentazioni che oltre ad essere ripetitive e monotone sono anche spiegate piuttosto male.

Effettista nato e svezzato alla Weta sotto l’egida di Peter Jackson, Rivers debutta alla regia nel lungo con questo adattamento del celebre romanzo dello scrittore e illustratore britannico Philip Reeve. La storia è quella di un futuro piuttosto remoto, così remoto che i leader della nostra società sono conosciuti come gli Antichi e gli oggetti che per noi sono di uso comune trattati come reliquie di una civiltà preistorica: in un momento non meglio specificato che separa il nostro presente dal presente del film, una guerra combattuta con armi di distruzione quantistiche (nota come Guerra dei Sessanta Secondi) ha messo fine a gran parte della vita sulla Terra.

Per riprendersi da questo cataclisma i sopravvissuti hanno iniziato a vivere su delle città-mobili (il perché, e quali siano i vantaggi, non viene specificato), dove le più grandi se ne vanno in giro per l’Europa ad inglobare le più piccole: in questo contesto si agitano le storie della misteriosa Hester Shaw (Hera Hilmar), il giovane storico ma aspirante aviatore Tom Natsworthy (Robert Sheehan), il carismatico leader londinese Thaddeus Valentine (Hugo Weaving), sua figlia Katherine (Leila George), la rivoluzionaria Anna Fang (Jihae) e il temibile Shrike (Stephen Lang), l’ultimo di una stirpe di spietati guerrieri non-morti resuscitati nel corpo di macchine noti come Stalkers la cui missione è quella di dare la caccia alla protagonista e ucciderla.

Se il personaggio di Shrike vi fa venire in mente un certo film intitolato Terminator è perché, si, effettivamente fa pensare a Terminator (non solo nei suoi obiettivi, ma anche nella parabola d’evoluzione e soprattutto nel look e nelle movenze), ma il film di James Cameron è solo uno dei tantissimi altri film che spuntano a decimare la già minima originalità della disastrosa sceneggiatura firmata Fran Walsh, Philippa Boyens e Peter Jackson: fra Mad Max, Il Castello Errante di Howl, Snowpiercer, Avatar e tanti altri (ci sono perfino i Twenkie di Benvenuti a Zombieland, evidentemente il pasto perfetto per la fine del mondo), Macchine Mortali non è mai in grado di ritagliarsi uno spazio autonomo nell’affollatissimo panorama fantascientifico moderno e non, reggendosi esclusivamente sulle spalle di altri.

Il fatto che poi gli effetti speciali creati per il film siano probabilmente fra i migliori tre dell’anno (forse addirittura i migliori) fa solo rimpiangere il lavoro grossolano svolto in fase di sceneggiatura, che gestisce malamente le tante sotto-trame pensate, le riflessioni sociali e politiche e ancora peggio i dialoghi. Dal prologo magniloquente più che la corsa senza sosta sulla Fury Road che era lecito aspettarsi Macchine Mortali è un continuo girare a vuoto, fermi sul posto e con l’enfasi di un condannato a morte.

Un gran peccato davvero, perché l’opera è una meraviglia da guardare. Forse in home-video, quando si potranno silenziare le battute, le cose andranno meglio.

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