Ritorno al Bosco dei 100 Acri di Marc Forster | Recensione

Pubblicato il 30 Agosto 2018 alle 20:00

Arriva in Italia il nuovo film di Marc Forster, Ritorno al Bosco dei 100 Acri.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato alla base di Ritorno al Bosco dei 100 Acri, ovvero la sua idea di partenza. Tutto il resto è ottimo – ottimi i costumi, ottima la CGI, ottima la recitazione – ma il concetto intorno al quale Marc Forster ha deciso di creare il suo film è non solo sbagliato, ma anche profondamente irritante.

L’anno scorso Simon Curtis col suo Vi Presento Christopher Robin ci aveva raccontato come lo scrittore A.A. Milne aveva creato Winnie the Pooh e tutti i suoi compagni partendo dal legame con suo figlio, Christopher Robin Milne (avrebbe dato il nome del bambino all’amico del celebre orsetto giallo, Christopher Robin appunto), e in quel film il fantastico usciva dalle pagine dei romanzi e dalla mente del protagonista in un racconto che parlava sì della fantasia, ma che comunque restava ancorato saldamente alla realtà.

Agli antipodi invece l’approccio dell’altro film con orsetto degli scorsi mesi, il sensazionale, magnifico e mai troppo poco lodato Paddington 2  di Paul King, nel quale il fantastico e la realtà semplicemente erano fusi insieme, condividevano la stessa quotidianità al punto che diventavano la stessa cosa.

Il film di Marc Forster con Ewan McGregor prova ad essere tutte e due le cose, fallendo clamorosamente: è impossibile che sia un prodotto indirizzato ai bambini (è tutto molto grigio, terribilmente angosciante, anzi per essere un racconto sul valore dell’infanzia c’è una tale mestizia da rischiare di rovinarle, le infanzie) ma fatica ad essere credibile anche come film per adulti, evitando di proposito e incomprensibilmente quel senso di avventura tipico dei film incentrati sul ritorno all’età giovanile (che era uno dei pregi di Hook – Capitan Uncino).

La maggior parte del film ha luogo più o meno 30 anni dopo che Christopher ha abbandonato Winnie e gli altri (ci sono tutti, Tigro, Ih Oh, Pimpi e così via): il bambino di un tempo ora è cresciuto, è diventato un uomo, si è sposato, ha avuto una figlia, ha fatto la guerra (la guerra!) e ora lavora per un’azienda di valigie a Londra.

Come Woody, Buzz e gli altri quando in Toy Story arriva il momento per Andy di andare al college, lo sconforto generale colpisce i peluche e getta nell’ombra il bosco dei cento acri, che si fa grigio e nebbioso come Londra, pieno di pioggia e foglie morte. Quando Christopher arriva ad un bivio col rapporto con sua figlia (che rischia di essere irrimediabilmente compromesso) si decide a darsi una svegliata e a cambiare le sue priorità, vuole ritrovare la gioia e i colori della sua giovane età e allora si ricorda dei suoi vecchi amici di peluche, che gli permetteranno di riscoprire i veri valori della vita.

Purtroppo però quello di Forster risulta uno dei film per famiglie più sadici che siano mai stati prodotti, privo di stupore, di entusiasmo, incredibilmente amaro, qualcosa di completamente diverso da quello che avrebbe dovuto essere. La scelta di trattare questi personaggi con questi toni resta per lo meno misteriosa. Quel che è certo è che i vostri figli non si divertiranno guardando questo film, anzi farebbero meglio a stare lontano dalle sale che lo proiettano: è un film che racconta i sentimenti contenuti nei romanzi originali, e li racconta anche molto bene, solo che dimentica di rivestirli con la tenerezza e il divertimento che dovrebbero essere insiti in questi personaggi.

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