Dylan Dog 381 – Tripofobia | Recensione

Pubblicato il 6 Giugno 2018 alle 10:00

L’indagatore dell’incubo alle prese con una fobia a lui sconosciuta.

Questo è sicuramente l’unico fumetto che ho letto una sola volta, che riporrò nella mia libreria e che non rileggerò MAI più.

Si parte male, malissimo: già la copertina dell’ormai mitico e indiscusso Gigi Cavenago fa salire brividi lungo la schiena, facendo venire strani pruriti alle mani e lascia la sensazione di avere i polpastrelli delle dita a mo’ di groviera.

Che schifo.

Una volta aperto l’albo, la situazione non migliora, anzi peggiora: Dylan accompagna due nuove ragazze in una discoteca, all’interno del quale c’è una serata dove si esibisce il famoso vj David Stephenson, fautore del nuovo genere musicale denominato sinestesia dinamica, “un’esperienza multimediale di cui la musica è soltanto una parte”. Infatti l’esperienza è soprattutto visiva e risulta essere fortemente inquietante: una delle ragazze che è con Dylan, Lydia, si sente male alla vista di alcune immagini che rappresentano orripilanti, abominevoli, grossi gruppi di buchi irregolari che danzano tra di loro, come i tentacoli di un polpo. Subito Dylan e Lydia corrono a casa di lei mentre l’altra ragazza, Edith, rimane al concerto. Al suo ritorno, Edith è strana, cela qualcosa nei suoi comportamenti scontrosi; un segreto che Lydia scoprirà grazie al ritrovamento di un pugnale, che sarà a sua volta collegato a una serie di omicidi sparsi per Londra.

Si torna a sfogliare il catalogo delle fobie e a scegliere quella più strana e atavica, quella che probabilmente una grossa percentuale di persone non sanno di avere: la tripofobia getta ribrezzo in chiunque guardi i raggruppamenti di fori dalle forme irregolari, come alcuni fiori o le celle degli alveari.

Giovanni Eccher studia molto bene come inserire questa fobia all’interno del mondo dylandoghiano, ricollegandola ai culti tipici delle narrazioni di H. P. Lovecraft. Il risultato è un albo scorrevole, con una narrazione senza forzature e con un risultato grafico che si accomoda perfettamente alla storia. L’impatto visivo, a opera di Davide Furnò e Paolo Armitano, è sconvolgente: la coppia di disegnatori “macchia” la tavola rendendola pittoricamente oscura e sfuggevole, accrescendo sensazioni di schifo che diventano al tempo stesso magnetiche, come se ipnotizzassero il lettore e lo vincolassero all’albo che ha tra le mani.

In questo caso, l’esperienza visuale trasmessa dal vj Stephenson esce fuori dalla semplice narrazione a scopo ludico e diventa essa stessa un’esperienza che abbraccia i cinque sensi. I gruppi di buchi affiorano dalle pagine tramite un’illusione ottica che li rende quasi palpabili, unendo vista e tatto in una percezione di puro orrore e ribrezzo. Potrebbe risultare un albo illeggibile per molti, ma sicuramente non è così. Superato l’impatto iniziale con la copertina e le prime pagine, dietro a Tripofobia si nasconde un’indagine leggera e godibile, che contiene tutti gli elementi canonici e attraversa tutti i classici momenti di una tipica storia della serie regolare di Dylan Dog.

Il finale esplode in un tripudio onirico che avvolge il lettore in un vortice di follia che lo tira giù, dentro un abisso dal quale si riesce a uscire usando la paura come chiave.

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