Ramarro – Guerre Fredde | Recensione

Pubblicato il 8 Gennaio 2018 alle 10:15

Il supereroe masochista… di cui tutti sentivamo il bisogno!

La seconda parte del titolo dice tutto: avevamo proprio bisogno di questo personaggio che cerca in ogni modo e maniera di trovarsi in mezzo alle mazzate e in mezzo ai guai. Più abile di Jackie Brown nell’ordire piani, il suo scopo è cacciarsi nei guai. Ma a Ramarro non piacciono i classici guai: il suo scopo è ritrovarsi in mezzo alle mazzate più incazzate in assoluto. Mostri spaccaossa, femmine innervosite, tempeste e altro: chi o cosa lo può fermare?

Creato alla fine degli anni Ottanta, Ramarro ha come papà artistico Giuseppe Palumbo, grandissimo disegnatore diaboliko (e non solo). Le pagine raccolte all’interno di questo primo volume, dal titolo Ramarro – Guerre fredde, sono state raccolte a termine di un sapiente lavoro di ricerca da parte del team di Comicon Edizioni. L’edizione è stata pubblicata nella collana “I Fondamentali”, che si occupa di raccogliere e “presentare in Italia inediti e ristampe, curate fisiologicamente, di opere di grandi autori italiani e internazionali, da considerare come riferimento definitivo per tutti i lettori”. Gli episodi sono stati pubblicati originariamente in più riprese sui numeri della rivista Frigidaire, dal 1986 al 1989 ed insieme a un gruppo di autori fenomenali come Filippo Scòzzari, Stefano Tamburini e Andrea Pazienza, Palumbo si aggrega al dream team con un supereroe unico nel suo genere.

Nato da una coppia di supereroi, Ramarro ha la particolarità di essere tutto verde, adora il masochismo e gli piace moltissimo essere fatto a pezzi. Il suo corpo può distruggersi quante volte vuole, ma ritorna sempre normale.

Alcune di queste strane caratteristiche ricordano alla lontana un personaggio di Dragon Ball, tale Piccolo (in italiano Junior): anch’esso verde, anch’esso potente, anch’esso con la capacità di ricostruire le parti del corpo amputate. Che il maestro Toriyama abbia avuto modo di leggere qualche opera del maestro Palumbo in passato? Chissà.

Figlio degli eccessi e della cultura pop anni Ottanta, Ramarro rappresenta una risposta alla classica figura del supereroe che cerca a tutti i costi di compiere gesti altruisti e carichi di buonismo. Lui vive soprattutto per sé e la sua finalità è quella di darsi piacere, facendosi danneggiare il proprio corpo da agenti esterni o anche dalle proprie azioni. In un periodo dove i capisaldi della cultura venivano messi in discussione e l’immagine del supereroe viene analizzata sotto ottiche differenti da quelle classiche, i lisergici e brillanti colori di Ramarro campeggiavano nelle pagine di una delle riviste più politicamente scorrette ma artistiche esistenti in Italia. Per inquadrare meglio il periodo socio-politico degli anni Ottanta, ricordiamo che, oltre il canale della Manica, Alan Moore e Dave Gibbons hanno portato i Watchmen l’analisi dell’Io supereroistico a livelli estremamente oscuri, scoprendo il vaso di Pandora del ruolo di supereroe come salvatore del mondo – e senza uccellino della Speranza alla fine. In Italia, Giuseppe Palumbo crea al 100% un personaggio ricco di potenziale narrativo, nato dalla cultura pop per la cultura pop.

Strane creature che popolano gli spazi più impensabili dell’universo, scenari di guerre intergalattiche e battaglie locali: spostando il lettore nello spazio galattico, Ramarro riflette gli aspetti sociali e le ribellioni intestine mondiali, facendo nascere all’interno del cuore del lettore una liberazione catartica. Un senso di soddisfazione pervade chi legge un’avventura di Ramarro, che sia lunga dieci pagine o che sia un’unica illustrazione a tutta pagina. Il supereroe verde sta bene in qualsiasi veste grafica viene proposto: ognuna di queste è pubblicata da Comicon Edizioni, che non si lascia sfuggire neanche una tavola inedita, proponendo un’opera omnia più che completa dell’ “arte verde” di Palumbo.  Per una versione ancora più preziosa, il primo volume di Ramarro è disponibile anche con la cover variant firmata dall’amico e collega Tanino Liberatore. Un’edizione perfetta da leggere, rileggere, toccare e “sniffare” ebbene sì, la carta usata ha un profumo veramente buono.

 

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