Doomsday Clock #1 di G. Johns & G. Frank | Recensione

Pubblicato il 22 Novembre 2017 alle 14:40

“Go on. Tell me what you really see.”

Esce oggi in tutte le fumetterie americane il primo numero di Doomsday Clock ovvero l’ambizioso progetto con cui il demiurgo della DC Comics, e Chief Creator Officer, Geoff Johns cercherà di far convergere l’universo DC – quello popolato dai supereroi più famosi al mondo – con quello partorito negli anni ’80 da Alan Moore e Dave Gibbons nel seminale graphic novel Watchmen ovvero quella pietra miliare che sintetizzò l’idea del decostruzionismo del genere supereroistico con una visione raffinata, colta e visivamente impressionante di un mondo sull’orlo della fine.

Inutile ricordare tutte le polemiche e le riflessioni sulle implicazioni morali di rimettere mani ad un’opera considerata sacra e che ha comunque avuto il merito di elevare il fumetto da semplice forma di intrattenimento a qualcosa di più complesso e capace di attirare l’attenzione di chi riteneva il medium veicolo solo di valori ingenui ed incapaci di catturare la complessità della realtà.

Fatta questo doverosa premessa è bene dire subito che l’albo è tutto fuorché una scazzottata fra Superman ed il Dr. Manhattan, entità intorno alla quale Johns ha costruito Rebirth ovvero l’ultimo fortunatissimo rilancio della DC. Sappiamo che Mahattan ha interferito con il continuum tempo-spazio e che continua a farlo così come narratoci mensilmente negli albi.

Lo scontro quindi viene messo momentaneamente da parte mentre lo scrittore fa quello che sa fare meglio: raccogliere i pezzi ed iniziare a ricomporre un puzzle densissimo di contenuti e rimandi sia all’opera originale che ai più recenti prequel dell’operazione Before Watchmen.

The End is Nigh recitava un cartello all’inizio di Watchmen e la fine è giunta il 22 novembre 1992. The End is Here recita un cartello nel primo panel della prima pagina ed infatti il mondo è sull’orlo di una guerra nucleare mentre i governi si sfaldano e l’isteria collettiva dilaga nelle strade. Intanto qualcuno decide di liberare i due criminali Marionette e Mime (ispirati ai personaggi Charlton Punch e Jewelee) fondamentali per portare a compimento il piano per salvare il mondo ovvero ritrovare Dio, il Dr. Manhattan l’unico in grado di salvare il mondo.

In un altro universo intanto Clark Kent ha un incubo: rivive la morte dei suoi genitori adottivi.

Come è facile intuire questo primo numero è molto, molto preparatorio mettendo subito in chiaro le intenzioni di Johns: costruire il giusto background prima dell’inevitabile scontro. Sì perché Doomsday Clock sembra tutto fuorché una operazione univoca volta a legittimare le scelte creative ed editoriali della casa editrice sembra piuttosto una riflessione ad ampio spettro dello scrittore su tutta la letteratura fumettistica supereroistica, i suoi stilemi e le sue storture e soprattutto i suoi meccanismi commerciali spesso tiranni – esplicativo il panel in cui Ozymandias ricorda che Manhattan ha lasciato “questa galassia per una meno complessa”.

E’ un Johns estremamente cinico, maturo forse anche un po’ amareggiato che mai come in questo albo lascia trasparire anche piccoli ma rilevanti commenti sulla società attuale, voce che a differenza di altri autori non ha mai espresso in maniera diretta nelle serie che ha scritto.

L’autore quindi fa sua la lezione di Moore e presta grandissima attenzione ai dettagli, ai rimandi ed ai riferimenti fumettistici, socio-politici e fanta-politici prendendo come ispirazione l’opera originale e realizzandone un seguito che si pone evidentemente come obbiettivo quello di realizzare un’opera che possa avere una risonanza oggi come la ebbe Watchmen negli anni ’80.

E’ un compito estremamente difficile quello che si è preposto Johns perché decostruire e metacommentare sono pratiche ormai sdoganate e banalizzate ma ecco che l’autore ci ricorda perché è ritenuto l’autore di comics più importante degli ultimi vent’anni: fa evolvere il finale di Watchmen in uno scenario prevedibile ma dalle sfumature inaspettate – la ricomparsa di Ozymandias e di Rorschach violentemente familiare eppur leggermente diverso – con tanto di introduzione di nuovi personaggi che vengono tratteggiati in maniera efficace solo con un paio di panel – Mime e le sue armi invisibili solo per citare quella più clamorosa.

Poi c’è il cuore pulsante di questo primo numero: gli eroi per quanto “danneggiati” rimango eroi e cercano di fare la cosa giusta pur con una bussola morale evidentemente in panne. E poi l’idea di eredità, quella legacy che la concorrenza sta cercando goffamente di fare sua, esplicata dal ruolo fra padri e figli con il ricatto di Rorschach nei confronti di Marionette ed il parallelismo fra Clark Kent che rivive la morte dei genitori adottivi – fondamentali per lo sviluppo del senso del dovere dell’uomo ancora prima che dell’eroe – e la figura del Dr. Manhattan in cui la bella miniserie targata Before Watchmen e firmata da J. Michael Straczynski esplorava il rapporto e l’influenze del padre sulla sua visione del mondo soprattutto dopo la trasformazione.

Ad accompagnare Johns c’è il fidato Gary Frank alle matite che con stile personale e neoclassico ci catapulta di nuovo nel mondo creato da Gibbons sfruttando a proprio vantaggio la ormai celebre tavola a 9 riquadri e rileggendola con un “filtro” più cinematografico se vogliamo. Mentre Frank illustra in maniera tagliente e puntuale, questo primo numero mantiene il tono estremamente crudo e realistico del graphic novel originale anche grazie al lavoro superbo ai colori di Brad Walker smorzando i toni al neon dell’originale senza però rinunciare alle sfumature smorzando la sua paletta prediligendo toni brulli e un uso della luce che evidenzia il carattere “clandestino” della vicenda. Menzione d’onore anche al letterista Rob Leigh che grazie ad un lavoro personale ed efficace mantiene alta l’attenzione del lettore durante le numerose didascalie.

Doomsday Clock parte spiazzando sia i detrattori sia coloro che aspettavano con trepidante attesa questa operazione. Il valore storico di Watchmen viene intaccato? Assolutamente no, è un primo numero che paga un pesante e doveroso tributo a quel graphic novel? Assolutamente sì ma c’è qualcosa di più sotto, un peso che Johns sembra volersi togliere dalla coscienza al più presto e con questo senso di urgenza non possiamo che giudicare positivamente questo primo numero sperando che le premesse viste qui vengano sviluppate in maniera altrettanto pregnante nei restanti 11 numeri.

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