“6 Buone ragioni per fare fumetti?” per David Lloyd, Jiro Taniguchi, Jeff Smith, Baru, Craigh Thompson, e Giacomo Monti

Pubblicato il 14 Novembre 2011 alle 14:25

Domenica 30 ottobre a Lucca Comics and Games 2011 si è verificato un piccolo evento, nel corso della bella iniziativa “Comics Talks”, curata da Matteo Stefanelli e giunta ormai alla sesta edizione, si sono trovati riuniti a parlare di fumetto autori del calibro di: Baru (“Autostrada del Sole”; “Gli Anni dello Sputnik”; “L’arrabbiato”), David Lloyd (“V per Vendetta”; “Kickback”), Giacomo Monti (“Nessuno Mi Farà del Male”), Jeff Smith (“Bone”; “Rasl”; “Shazam: La Società dei Mostri”), Jiro Taniguchi (“Al Tempo di Papà”; “In una Lontana Città”; “L’uomo che Cammina”), Craig Thompson (“Blankets”; “Addio, Chunky Rice”; “Habibi”).

 

Immagine fornita da un motore di ricerca

La domanda rivolta ad ognuno di loro è stata: “Perchè fare fumetti?”, di seguito vi riportiamo le risposte degli autori (a scanso di equivoci segnalo che non si tratta della trascrizione parola per parola di quanto detto dagli autori ma di una rielaborazione della forma degli interventi al solo scopo di renderla più adatta alla forma scritta).

Lloyd: “A 12 anni ho iniziato ad appassionarmi seriamente al fumetto, scoprendo piano piano una sorta di talento naturale, più tardi, quando ho scoperto che si poteva vivere di fumetto, ho fatto di tutto per riuscirci. Non mi interessava altro che disegnare, non importava cosa o dove. Sono finito sul fumetto perchè nella grafica mi sono preso un sacco di rifiuti e una volta cominciato ho capito che quella era la mia strada, la mia vocazione.”

Taniguchi: “Da piccolo mi piaceva disegnare e leggere manga, dopo le superiori, però, sono diventato impiegato, ma non mi sentivo nel mio mondo. Dopo qualche tempo ho trovato posto come assistente di un mangaka, era un lavoro molto duro ma in cui mi sentivo libero ed è lì che ho appreso i fondamenti del fare fumetto come professione.”

Thompson: “La mia era una famiglia di lavoratori, molto religiosa, in casa erano proibite la tv, un certo tipo di musica, ecc, però non mancava mai il giornale della domenica con le strip comiche. I fumetti, poichè erano considerati una forma d’arte per bambini, erano tollerati. Io sono cresciuto con il fumetto e l’ho visto crescere insieme a me, raggiungendo orizzonti ed evoluzioni inimmaginabili. Credo che uno dei punti di forza del fumetto sia proprio la sua struttura fatta di una combinazione di scrittura ed immagini, struttura molto simile a quella del pensiero umano e che permette infinite sperimentazioni in ogni direzione. Altre forme d’arte, invece, mi sembrano ormai aver detto tutto e trovarsi in crisi di contenuti.”

Baru: “Io sono arrivato al fumetto per caso, alla fine degli anni ’60 ero impegnato in attività di contestazione politica e sociale e sentivo l’esigenza di trovare uno strumento che mi desse la parola, quello strumento l’ho trovato nel fumetto. In quel periodo in Europa c’è stata un’esplosione di un certo modo di intendere il fumetto e a me quello sembrava un mezzo semplice per esprimersi, in realtà poi mi sono reso conto di non essere sufficientemente preparato ed ho dovuto imparare il mestiere.”

Smith: “I fumetti sono stati il mio modo per conoscere il mondo, ad esempio i “Peanuts” che con pochi tratti, un cerchio e due puntini facevano una faccia, riuscivano ad esprimere al meglio tutte le emozioni e le sensazioni del mondo dei bambini, o “Dick Tracy” e “Mad” mi spiegavano il mondo degli adulti e la loro stupidità, raccontando davvero la realtà, non come la tv o i film. Nella vita non avrei saputo fare altro: o i fumetti o McDonald!”

Monti: “Anch’io sono arrivato al fumetto per caso, il fumetto però non mi interessa, non ne leggo molto, trovo invece che ci si dovrebbe chiedere perchè in Italia non si può vivere col fumetto. Ciò costringe gli autori a smettere, anche io ho dovuto farlo e me ne dispiaccio perchè avrei talento nel farlo. Anche chi lo legge non lo valorizza perchè sul mercato ci sono troppe stronzate e chi merita non ha il giusto spazio. A livello istituzionale non c’è alcun sostegno, così come accade per tutto il settore della cultura purtroppo. Il fumetto era la forma che più si adattava alle mie caratteristiche, quando ho iniziato a scrivere le mie storie mi sono reso conto che mi veniva da disegnarle e alla fine la storia è diventata un racconto per immagini.”

Dopo l’intervento di Monti cambia quindi la domanda e il focus si concentra sulle difficoltà legate alla propria esperienza nel campo del fumetto.

Thompson: “Il peggior momento nel mio rapporto col fumetto l’ho vissuto quando le mie mani hanno smesso di funzionare a causa di una malattia. In quel periodo ho dovuto accantonare il lavoro per dedicarmi alla cura, avvicinandomi a delle discipline mediche orientali ho capito che non sono in grado di scindere il mio “Sè” dal fumetto, il fumetto è una parte del mio Essere ed è attraverso di esso che mi esprimo. Prima della malattia lavoravo senza sosta, quasi 24 ore su 24, sette giorni su sette, poichè essa è arrivata quando iniziavo a vivere grazie al fare fumetti mi ha permesso di rallentare e di potermi dare un ritmo, come se stessi facendo un lavoro fisso. Come in una maratona ho capito che era necessario prendere un ritmo e non fare scatti continui, perdendo tutto quello che può dare la vita.”

Lloyd: “Trovo sia interessante sottolineare quanto negativa sia la reputazione del fumetto come mezzo narrativo e dell’intero sistema che gli ruota intorno. Tutti noi (si riferisce ai colleghi presenti) veniamo da esperienze e contesti diversi, Baru viene dalla Francia dove la BD è molto rispettata e agli artisti viene concesso molto tempo per le loro opere. Negli Stati Uniti, invece, ritmi forsennati danno modo di percepire come cosa normale fare 21 pagine al mese. In Giappone tutti amano il manga che ha una considerazione molto particolare. I film negli anni hanno conquistato una reputazione che prima non avevano, vorrei che anche il fumetto facesse quel percorso e acquisisse un rispetto che adesso non ha.”

“Cos’è quindi che vi piace del fare fumetto?”

Taniguchi: “Volevo ricollegarmi al discorso sui film: a me piace molto disegnare, ma non basta per fare un fumetto, creare un fumetto è come fare un film da solo, sei tu a fare tutto ed è il tuo messaggio che passa, senza i filtri degli attori, del direttore della fotografia, etc… 30 anni fa un mangaka faceva 80/100 pagine al mese, io ho retto questo ritmo per un anno, in un caso sono arrivato anche a 120 pagine al mese, poi però mi sono sentito male, non solo fisicamente, ma anche a livello psicologico perchè non avevo più una vita al di là del foglio da disegno. In tal senso ha svolto un ruolo molto importante il mio editor che mi ha permesso di lavorare comunque ma facendo meno pagine al mese. Volevo anche dire che un’altra cosa che mi piace molto del mio lavoro è il collaborare con altri scrittori, perchè quando lo faccio mi capita di scoprire modi diversi di impostare una scena, modi diversi di creare, ed imparo qualcosa di nuovo.”

Smith: “Scrivere è un momento di solitudine tra me, la penna e il foglio da disegno, una sorta di esercizio zen che mi fa immergere nella storia, centrato su un solo pensiero. Anche se il lavoro è lungo e duro mi sento sempre rinfrancato ad entrare nel mondo di Bone e del fumetto.”

Baru: “Per me ci sono due ragioni, la prima è che l’inizio di ogni nuovo progetto è un momento estremamente eccitante perchè da lì si inizierà a creare qualcosa che prima non esisteva, la seconda, che ho imparato nel tempo, è che nel fumetto c’è qualcosa di più della somma di parole ed immagini, nel fare fumetti per me si crea una sorta di stato di grazia che mi spinge sempre a continuare a produrne.”

Dal pubblico viene chiesto a Taniguchi come abbia avuto l’idea per un’opera così particolare come “L’uomo che Cammina”.

Taniguchi: “Il sistema che regola il fumetto giapponese determina una situazione particolare nella genesi dell’ispirazione, poichè molto spesso la redazione, l’editor, diventa co-autore della storia. “L’uomo che Cammina”, ad esempio, nasce da un’idea del mio editor che mi propose, spiazzandomi completamente, di fare un fumetto su una persona che cammina senza uno scopo preciso. Io, vinte certe perplessità, ho provato ad andare un po’ in giro senza avere una meta precisa, senza dover andare da un punto A ad un punto B, ho scoperto tanti piccoli dettagli che non avevo mai notato prima ed è questo che ho messo nella mia opera.”

Agli autori coinvolti viene quindi chiesto cosa credano che attenda il fumetto nel futuro, se c’è il rischio che con lo sviluppo dei nuovi media sparisca.

Lloyd: “Sopravvivrà, tutte le grandi arti sopravvivono sempre. Se non sarà su carta sarà sul web! Magari caleranno le vendite, ma questo è già accaduto ad esempio negli anni ’50 quando la “Comics Code Authority” uccise gran parte del fumetto.”

Baru: “Penso che a cambiare sarà l’economia della BD, ma la BD resterà sempre BD, il web, ad esempio, è un cambio nell’economia del fumetto, il fumetto invece è un bisogno umano e resterà vivo.”

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