Il Trono di Spade 7×01: “Dragonstone” | Recensione

Pubblicato il 17 Luglio 2017 alle 15:00

“Cominciamo.”

Era lecito aspettarsi una partenza in pompa magna per questa penultima stagione, e infatti così è stato. Sette episodi significano tre ore di narrazione in meno rispetto al passato, e tra le tante linee narrative e sotto-trame Benioff e Weiss sanno che non c’è un secondo da perdere. Il divertente e serratissimo montaggio in stile Guy Ritchie sulla quotidianità di Sam alla Cittadella sembra volerci ricordare proprio questo.

Di conseguenza, Jeremy Podeswa (che ha già diretto i primi due episodi della quinta stagione e che tornerà per l’ultima puntata di questa settima) sviluppa Dragonstone partendo dalla sceneggiatura ricca e densissima dei due showrunner.

Da un punto di vista artistico, si è tornati con i piedi per terra. Se pensavate che il livello raggiunto da Miguel Sapochnik nei due precedenti episodi – La Battaglia dei Bastardi e I Venti dell’Inverno – sarebbe diventato uno standard per la serie, dovrete ricredervi: la trama procede di campi e controcampi, e al di là di qualche stimolante trovata visiva (l’arrivo degli Estranei è avvolto da un’atmosfera figlia di Stephen King e David Lynch) Podeswa si limita a mettere in scena le parole di Benioff e Weiss.

Il che non è necessariamente un male (ma non aspettatevi un 10/10).

Cominciamo (per citare Daenerys) da Arya Stark, protagonista assoluta della prima scena seppur con indosso i panni di Walter Frey (è stato bello rivedere per un’ultima volta David Bradley, che a questo punto saluta definitivamente la serie). La vendetta personale che la giovane Stark sta portando avanti da sola in nome dei suoi defunti sembra procedere senza intoppi, al punto che la giovane lupa (diretta a quanto pare ad Approdo del Re, per uccidere la regina, e non a Grande Inverno, come si pensava) si prenderà una serata di riposo (davvero ben scritta la scena nell’accampamento dei soldati, che ci fa sentire la voce del popolo e dà ad Ed Sheeran qualche strofa da intonare).

A nord, l’inverno è arrivato. Se il Mastino Sandor Clagane lo ha scoperto osservando il fuoco (nella scena più toccante della puntata: questo meraviglioso, sensibile bruto sfregiato è uno dei personaggi meglio scritti dell’intera serie) a Grande Inverno i preparativi per contrastarlo sono già iniziati. Ma è un inverno più insidioso quello che infreddolisce le stanze e i corridoi del palazzo che un tempo è appartenuto ad Eddard Stark, un inverno emotivo, un inverno da Guerra Fredda che sta lentamente intiepidendo i rapporti fra Jon Stark (possiamo iniziare a chiamarlo così, non vi pare?) e sua sorella Sansa.

I disaccordi si manifestano niente meno che durante un’assemblea generale, causando non poco imbarazzo fra i presenti. Sansa vuole un governo duro e inflessibile contro i traditori (per sua stessa ammissione, la lupa rossa ha imparato tanto e ammira tanto Cersei Lannister) mentre Jon segue da sempre gli onorevoli insegnamenti di suo padre, ed è favorevole ad un’amnistia (“Non punirò mai i figli per i peccati dei padri”: frase che gli calza a pennello visto che proprio lui, nato dal deplorevole peccato di Rhaegar Targaryen, per tutta la vita è stato punito con l’etichetta di bastardo).

A sud, invece, sta arrivando la guerra. Approdo del Re è accerchiata, con nemici ad est, nemici a sud, nemici ad ovest e nemici a nord. Jaime è sempre più preoccupato per le oscure e spasmodiche ambizioni di sua sorella (“Sono la regina dei Sette Regni” dirà lei, e lui ribatterà “Sei la regina di tre regni, al massimo”), che ha trovato un possibile alleato in Euron Greyjoy.

L’inquadratura in totale del chiosco in cui Cersei sovrasta la mappa di Westeros dipinta sul pavimento è l’immagine migliore dell’episodio e Podeswa, che lo sa benissimo, la tiene a schermo per parecchi secondi. La figura di questa donna forte, ambigua e spietata, che è stata una madre amorevole e che ora è una madre in lutto, che prima di diventare la regina ambiziosa e crudele che è ora un tempo è stata una moglie devota e innamorata (non dobbiamo mai scordarci, neanche per un secondo, che Cersei era follemente innamorata di un bellissimo e giovane re che è invecchiato nell’alcool e che sussurrava il nome di un’altra donna quando faceva l’amore con lei) viene magnificamente riassunta in questa singola, evocativa inquadratura. Un’inquadratura nella quale è assolutamente sola, e circondata da tutti i suoi fantasmi (i nemici di oggi e i cari defunti di ieri).

Il glorioso e attesissimo arrivo di Daenerys nel continente occidentale tronca giustamente la narrazione e ci rimanda alla prossima settimana. Per vederla a Westeros abbiamo aspettato sette anni, del resto. Sette giorni voleranno.

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