Twin Peaks 3×09: “The Return”, parte nove | Recensione

Pubblicato il 12 Luglio 2017 alle 20:00

“Due Cooper?”

Dopo la psichedelia in bianco e nero trapiantata in un setting anni 40/50, Twin Peaks arriva al giro di boa con il nono capitolo. E i pezzi del puzzle incominciano, se non ad incastrarsi, quanto meno ad avvicinarsi l’un l’altro.

Se nella scorsa puntata abbiamo scoperto le origini di BOB, interpretato nella serie originale da un attore (Frank Silva) scomparso nel ’95, anche la nuova puntata ruota intorno ad un altro interprete del primo Twin Peaks deceduto qualche anno fa: Don S. Davis, interprete del maggiore Garland Briggs, il padre di Bobby.

La presenza di Garland Briggs (c’è un cadavere, ma senza testa) è assolutamente tangibile anche senza Davis, e per questo il lavoro svolto da Mark Frost e David Lynch è ancora più affascinante: l’attore che interpreta il personaggio vive di nuovo nel corpo di personaggio deceduto, e quel personaggio deceduto sarà fondamentale per incanalare la narrazione verso un punto di non ritorno.

Cose che possono accadere soltanto in Twin Peaks, amici miei.

Questo nono capitolo poi è strettamente collegato alla serie originale: Bobby, il figlio di Garland, giocherà un ruolo fondamentale, e si farà un gran parlare di sogni e visioni (dettaglio che rimanda direttamente ad una delle migliori scene della prima serie, quando il maggiore Briggs rivelava al figlio di aver fatto un sogno su di lui).

A Twin Peaks le cose si stanno facendo interessanti (esclusi i maledetti, detestabili siparietti di Andy e Lucy) e le indagini trasognate e visionarie di Hawk e dello sceriffo Frank Truman (fratello del primo sceriffo, Harry Truman) stanno dando i loro frutti (anche se l’indizio sul “Doppio Cooper” per adesso ha senso soltanto per noi spettatori).

In questa puntata, poi, passeremo più tempo del solito nella nostra ambigua cittadina preferita (ormai lo saprete, questa terza stagione si intitola Twin Peaks ma finora sono state pochissime le scene effettivamente ambientate a Twin Peaks). E lo faremo soprattutto coi vari membri della famiglia Horne: Johnny Horne si schianta contro un muro (perdendo presumibilmente la vita) mentre era intento a rincorrere qualcosa dentro casa, scioccando la sua povera mamma, Sylvia; Ben Horne continua a sentire quello strano suono nelle pareti del Great Northern (muri, pareti, che abbiano un qualche significato?) e Jerry Horne, in una delle scene più folli che io abbia mai visto, perde il controllo del proprio piede. Già, dovete vederlo.

Nessun segno ancora di Audrey, ma se suo fratello Johnny è davvero morto, allora è lecito pensare che molto presto tornerà a casa.

Facciamo anche la conoscenza di Hutch e Chantal (Tim Roth e Jennifer Jason Leigh, ancora soci criminali dopo The Hateful Eight), due membri della gang del Cooper Malvagio. E scopriamo che era stato proprio il Cooper Malvagio a chiamare Duncan Todd nel secondo episodio.

La scena dell’interrogatorio è la quintessenza del cinema di Lynch: Matthew Lillard ci offre un’ottima recitazione espressionista che, miscelata al triste nonsense della sceneggiatura (immersioni alle Bahamas), ci fa sorridere e al tempo stesso ci fa dispiacere per Bill e per tutto ciò che ha perso.

Ma per quanto sia riuscito il monologo di Bill, la scena del piede rimane imbattibile.

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