Cannes 2017 – Recensione: “How To Talk to Girls at Parties”

Pubblicato il 25 Maggio 2017 alle 16:21

Dopo Hedwig, Shortbus e Rabbit Hole, il quarto film di John Cameron Mitchell è ispirato al racconto breve di Neil Gaiman Come Parlare con le Ragazze ai Party, e presenta una versione psichedelica di Romeo e Giulietta ambientata nella scena punk di una Londra anni ’70 popolata dagli alieni.

E’ vero che è un film sconclusionato e fuori di testa How To Talk To Girls At Parties, ma è altrettanto vero che è dannatamente divertente.

Pieno zeppo di parolacce, stravaganze, eccentricità e strabilianti idee visive figlie illegittime di un uso sconsiderato di acidi e droghe allucinogene, il quarto lungometraggio di John Cameron Mitchell trae ispirazione dall’evocativo racconto breve omonimo scritto da Neil Gaiman nel 2006 (l’autore inglese era presente in sala quando noi di MangaForever abbiamo visto il film in anteprima al Festival di Cannes).

Nella Londra degli ’70, tre amici affiliati alla corrente punk si imbucano ad una festa per cercare di perdere finalmente la verginità. Quello che non sanno è che il party è organizzato dai membri di una stravagante razza aliena e quando la bella Zan farà la conoscenza dell’umano Enn, le due culture si incontreranno facendo sbocciare uno strano (e forse impossibile) amore.

Il film, con tutti i suoi piccoli difetti (che diventano abbastanza grandi nel finale), riesce ad essere magicamente ipnotico e squisitamente spassoso. L’ora e mezza di proiezione è volata via in un attimo a ritmo di stranissime composizioni musicali aliene e/o punk, e la potenza visiva di Mitchell (coadiuvato dalla psichedelica fotografia di Frank G. DeMarco) riuscirà costantemente a catturare i vostri occhi (e fidatevi se ve lo dico: Elle Fanning era seduta qualche sedia più in là rispetto al sottoscritto, ma il film continuava a chiamarmi come una sirena e mi sono ricordato di adocchiare la biondissima attrice solo due o tre volte durante la proiezione).

C’è tantissimo di cui ridere in questo film, dall’eccentrica Regina Boadicea (Nicole Kidman), una sorta di predicatrice punk dall’asprissimo atteggiamento nichilista, agli sguardi curiosi, sognanti e sensuali con i quali Zan (Elle Fanning) osserverà gli usi e costumi del nostro mondo.

Narrativamente ci sono poca coesione e ancor meno sotto-testi (a parte quello politico, assente nel racconto originale e qui infilato un po’ forzatamente dal regista), e il film non è nulla più che una commedia low-budget piena di musica e risate, ma è grazie alla sua anti-convenzionalità che l’opera di Mitchell brilla di più (ci sono battute scabrose e demenziali e baci in cui si vomita e stupri alieni-anali da crepare dalle risate). Dopo il più sobrio Rabbit Hole, insomma, il regista di El Paso sembra essere tornato alle atmosfere del suo film d’esordio.

Le aggiunte narrative della sceneggiatura di Mitchell e Goslett iniziano dove il racconto breve di Neil Gaiman finisce, ampliando la storia originale per raggiungere i cento minuti di durata; verso la fine del secondo atto e l’inizio del terzo si va un po’ a perdere quell’efficacia iniziale a livello di storytelling, ma grazie agli stravaganti personaggi, all’elettrizzante colonna sonora e alla psichedelia visiva il film non annoia neanche per un istante. E rimane comunque un film musicale cento volte più intellettualmente onesto di Song to Song. 

How To Talk To Girls At Parties sarà anche l’equivalente cinematografico di un buon fast-food ma, ehi, non si può mangiare sempre aragosta.

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