Recensione – Boston: Caccia all’Uomo, di Peter Berg

Pubblicato il 7 Maggio 2017 alle 15:00

Il navigato Peter Berg firma la sua nona regia nel segno del patriottismo, raccontando i tragici eventi che colpirono la città di Boston durante la maratona del 2013.

Boston: Caccia all’Uomo rappresenta il terzo capitolo di una ideale trilogia sull’America (o trilogia con Mark Wahlberg, qui alla terza collaborazione consecutiva col regista newyorkese), dopo il buon Lone Survivor e l’ottimo Deepwater Horizon. 

Nel primo atto di questa trilogia Berg ci raccontava l’America all’estero, attraverso la bellicosa disavventura che il Navy Seals Marcus Luttrell ebbe nel 2005 nelle brulle montagne afgane; nel secondo il regista si era riavvicinato geograficamente agli Stati Uniti narrando la triste storia della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, che a causa di un’esplosione nel 2010 inondò il Golfo del Messico di petrolio causando uno dei più grandi disastri ambientali della storia.

Con questo suo ultimo film l’eclettico regista rientra finalmente nei confini USA (lui è un cittadino americano, quindi gli è consentito varcare la frontiera) e raggiunge proprio il cuore della nazione, l’orgogliosa città di Boston, patria dei Red Sox e attrice protagonista durante la guerra d’indipendenza di fine ‘700.

Una città che mette al mondo uomini e donne duri e patriottici, gli americani doc tutta fierezza e inno nazionale. La città che nel 2013 fu scelta come primo obiettivo di una serie di attacchi terroristici su suolo statunitense, fortunatamente stroncati dopo le due esplosioni che durante la storica maratona di Boston (la più antica degli USA) uccisero tre persone e ne ferirono centinaia.

Il cast corale comprende Mark Wahlberg, Kevin Bacon, Michelle Monaghan, John Goodman e J. K. Simmons, tutti al servizio della cinepresa di Berg, tutti al servizio di questa fedele ricostruzione cinematografica: nei primi venti minuti vi sarete già affezionati a tutti loro, uomini e donne semplici, persone comuni che durante una giornata di festa si ritrovano catapultate all’inferno.

Il film parte già alla grande col sovvertimento di uno dei più celebri cliché del cinema: il poliziotto che sfonda la porta come se fosse di cartone. Il personaggio di Wahlbergh si infortuna al ginocchio nello sferrare il calcio per fare irruzione, e da quel momento inizierà a zoppicare, ad incedere con fatica, senza mai arrendersi.

E’ un film di corse, di maratone, di resistenze strenue, di gambe che macinano chilometri – mi correggo, miglia. Ma anche e soprattutto di gambe che vengono maciullate, di sogni che vengono fatti a pezzi, di felicità sconvolte da esplosioni. Ma i bostoniani, come abbiamo detto, sono gente tosta, caparbia e testarda, e non si lasciano fermare neanche dalle bombe, neanche dalle amputazioni, neanche dal terrore.

E Boston è molto presente nel film, la Boston di Gone Baby Gone, di The Town, la Boston de Il Caso Spotlight.

La lucida regia di Berg è chirurgica nella ricercatezza del caos, alternando riprese pulite ad altre più concitate, quasi amatoriali, inserendo tante inquadrature da telecamere di sicurezza o dai bancomat, e verso il finale ci delizierà con una sequenza action alla Michael Mann dei tempi d’oro. La sceneggiatura ricalca passo passo gli avvenimenti di quelle terribili ore, con l’accuratezza e la dovizia di particolari che contraddistinguevano lo Zodiac di David Fincher, concentrandosi molto sul lato umano della vicenda. Il montaggio conferisce alla narrazione un ottimo ritmo, sempre più incalzante man mano che ci si avvicina alla risoluzione.

Tra tutte le ottime prove attoriali spicca quella di uno stoico Mark Wahlberg, che va avanti nell’estenuante caccia all’uomo mostrando ad ogni nuova inquadratura la fatica accumulata dal proprio fisico esausto, e Berg è bravo a mettere in risalto il volto provato del suo protagonista, che restituisce una performance di sofferenza e ostinazione.

Un film molto diretto, molto crudo per certi aspetti ma assolutamente umano ed estremamente commovente. Il finale documentaristico, nel quale gli attori lasciano il posto alle loro controparti reali, coraggiosi testimoni dell’attentato, ricorda quello visto recentemente in La Battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson.

A livello di box office il film non è stato un granché, e sostanzialmente è andato in pari col budget di produzione. Questo perché colpisce nel segno, con precisione e lucidità, riaprendo ferite ancora freschissime, raccontando al mondo una storia di coraggio e orgoglio che meritava di essere raccontata, ma che la maggior parte del pubblico non voleva rivivere.

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