Dylan Dog Color Fest n. 17: Baba Yaga – Recensione

Pubblicato il 9 Maggio 2016 alle 14:20

Affetto da un male incurabile, il delinquente Riza Todorovic ha provocato la morte della propria famiglia rapinando il suo boss. Disperato, l’uomo ha stretto un patto con Baba Yaga, la strega del folklore russo, chiedendo vendetta in cambio della sua anima. Le cose, però, non sono andate come previsto e Riza, intrappolato in un corpo tormentato dalla malattia, è condannato all’immortalità. Decide così di chiedere aiuto a Dylan Dog.

In un’intervista rilasciata qualche anno fa, Paola Barbato si è definita una balia cattiva e severa di Dylan Dog. Viene quindi da chiedersi se la sceneggiatrice milanese si sia divertita ad identificarsi nella strega Baba Yaga che mette nei guai l’indagatore dell’incubo in questo nuovo Color Fest. Soltanto il mese scorso, la Barbato ha presentato un villain nuovo di zecca sulle pagine della serie regolare mentre qui decide di rifarsi alla celebre strega della mitologia slava restando fedele a tutti gli elementi che la caratterizzano.

Le storie della Barbato si sono sempre contraddistinte per due componenti in particolare: l’introspezione, del protagonista nello specifico e dei comprimari più in generale; e l’intreccio narrativo, a volte molto articolato eppure congegnato come un infallibile meccanismo ad orologeria. Quando la sceneggiatrice riesce a trovare un buon equilibrio tra queste due componenti, le storie risultano degli autentici gioielli.

In questo caso, la Barbato si lascia prendere troppo la mano da una trama eccessivamente cervellotica fatta di spiegoni, controspiegoni, doppiogiochismi, flashback e dinamiche esoteriche. Dylan non si limita ad indagare ma si ritrova coinvolto in prima persona nell’incubo del cliente, scelta narrativa sempre vincente, tipica della sceneggiatrice, ma l’orrore si ferma sulla pelle del protagonista, non riesce ad insinuarsi al di sotto. C’è quindi maggior attenzione ai meccanismi del racconto a scapito del coinvolgimento emotivo del lettore.

Dunque stando alla sceneggiatura ci troviamo di fronte ad una storia di 96 tavole piuttosto convenzionale che avrebbe potuto trovare spazio sulla serie regolare. Invece è stata collocata sul nuovo Color Fest, una testata che si prepone di ospitare grandi autori e nuovi talenti del fumetto italiano e internazionale perché possano cimentarsi con la creatura di Tiziano Sclavi, il più incline tra i personaggi di casa Bonelli a svariate interpretazioni e sperimentazioni.

La sensazione (che può anche essere sbagliata) è che a fronte di una storia troppo manieristica si sia scelto di puntare sulla componente estetica esaltando i disegni accattivanti di Franco Saudelli attraverso la colorazione minuziosa e dettagliata di Oscar Celestini. Lo stile cartoon è adeguato al tono grottesco e surreale della vicenda e sono perfetti per le gag tragicomiche, come la tavola dei mancati suicidi di Riza.

La caratterizzazione estetica dei personaggi è deliziosa. Baba Yaga, come dicevamo, è fedele alla rappresentazione della tradizione russa, introdotta a Dylan in una tavola letteralmente teatrale, affiancata dalla prosperosa e conturbante Principessa Vassilissa. Il Diavolo in versione Nosferatu dandy fa da contraltare alla strega.

I protagonisti fuggono da una realtà terribile e fin troppo concreata, fatta di criminalità e malattia, ed entrano in un mondo favolistico, un caleidoscopio immaginifico di spassose e spettacolari trovate visive in cui zombi e mostri sono più divertenti che spaventosi, tanto che pare di trovarsi in un episodio animato di The Real Ghostbusters o di Brividi e polvere con Pelleossa (Tales from the Cryptkeeper).

Se si decide di puntare sulla resa visiva, com’è giusto che sia trattandosi di un Color Fest, bisognerebbe forse presentare un intreccio meno contorto. Tuttavia la storia è scorrevole e di gradevole fruibilità e sembra aprire ad un sequel. Nel qual caso ci sarà tempo e modo di aggiustare il tiro.

A tal proposito, la si legga come un’interpretazione scherzosa, quel dialogo iniziale tra il Diavolo e Baba Yaga che osservano dall’alto le vicissitudini di Riza (“Fatti due risate. Questa storia è divertente.” “E’ divertente per te. E solo perché sai come va a finire.”) sembra quello tra un direttore editoriale e una sceneggiatrice che giocano col destino dei loro personaggi.

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