L’importanza di chiamarlo fumetto di Bastien Vivès – Recensione

Pubblicato il 14 Maggio 2015 alle 15:10

L’occasione giusta per scoprire l’irresistibile comicità di Bastien Vivès, attraverso un metafumetto divertente e a tratti geniale.

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Rieccoci alle prese con quel geniaccio caustico di un fumettista che risponde al nome di Bastien Vivès. Il promettente artista francese, vincitore nel 2009 del Prix Révélation al festival del fumetto di Angoulême con Il gusto del cloro, si sta facendo apprezzare anche in Italia grazie all’opera di Bao Publishing, che sta pubblicando alcune raccolte tematiche degli sketch realizzati sul suo blog.

Dopo aver già trattato su queste coordinate di Fatality e Questioni di cuorespassosissime raccolte dedicate rispettivamente al tema videoludico e a quello amoroso, ora è il turno de L’importanza di chiamarlo fumetto; opera in cui l’autoironia e il proverbiale cinismo di Vivès prendono di mira il medium del fumetto in tutte le sue idiosincrasie e le sue sfaccettature più controverse.

Già dalle prime vignette prevale una pungente satira sul luogo comune (?) secondo cui quello della Nona Arte sia un mondo ancora fortemente snobbato e alienato rispetto al resto della normale società. Si parte, dunque, con Dottore, uno sketch in cui un medico saccente non esita a definire  “sindrome incurabile” la propensione di un bambino a diventare un fumettista. Si prosegue con Intervista Rap, che vede un rapper superficiale intenzionato ad approcciarsi alla scrittura di un fumetto solo per ottenere un (improbabile) guadagno economico. 

-E conosce il mondo dei fumetti?

Certo, è solo roba per sfigati e ragazzini brufolosi…non sarà un problema fare un botto di soldi.

Il tono mordace con cui l’autore tratta l’argomento si ripropone anche in Cinema e Taxi, sintesi efficaci delle difficoltà di adattamento e della discussa dignità dell’arte sequenziale.

Sono lampanti, poi, l’autoironia e l’autoreferenzialità dell’autore, con specifico riguardo a Il gusto del cloro, fumetto che viene denigrato in maniera esilarante dallo stesso Vivès perché contenente un mucchio di robaccia sentimentale e profonda inventata a posta per raccogliere il favore del pubblico generale. Su questa scia autoironica si basano geniali sketch in cui generiche interviste sul panorama del fumetto degenerano in accese discussioni su ben altri temi, emblemi della manie di grandezze dei fumettisti.

La lente di ingrandimento sarcastica si sposta dalle manie ossessive dei collezionisti di fumetti (simbolico il padre che dimostra maggior cura e amore  nei confronti della sua collezione di Asterix piuttosto che nel proprio figlio) alla critica sulla storielle ingenue con protagonisti i supereroi americani (con le avventure del fantomatico Flashman!).

Ad arricchire l’opera ci pensano due intermezzi dedicati alla spiegazione di tecniche della narrazione, in particolare sulla costruzione di una gag e sulla creazione di un comic supereroistico. Ovviamente, anche in quest’ultimo caso Vivès non perde la sua indole ironica, raccontandoci minuziosamente tramite il simpatico Brad i passaggi  e i meccanismi nascosti nella creazione di un fumetto, come in una sorta di parodia di Capire il fumetto di Scott Mcloud.

Essendo state concepite solo per essere pubblicate su un blog, le vignette presentano disegni su sfondo bianco prettamente stilizzati e non particolarmente impegnati, atti a realizzare gag basate sulle pause e sulla ripetizione dei gesti.

In poco più di 190 pagine, L’importanza di chiamarlo fumetto regala una buona dose di risate e di sana critica, nonostante il tema non sia trattato proprio a 360 gradi, a causa della ridondanza di certe battute e alla presenza di sketch  legati solo indirettamente all’argomento principale.

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