Dylan Dog: Mater Morbi – Recensione

Pubblicato il 16 Maggio 2013 alle 13:00

“Lontano dalla luce fin dentro il buio.” Dylan Dog deve affrontare un orrore che non ha mai conosciuto, sul quale non può indagare e contro il quale non può lottare. La malattia. Una discesa nel baratro della sofferenza, tra i corridoi di un ospedale da incubo, nella condizione solitaria del paziente e con la propria vita nelle mani di medici che possono diventare salvatori o aguzzini. E nel Giardino della Consunzione, sotto l’Albero delle Pene, Dylan è atteso dai mostruosi Tormenti, figli dell’ammaliante Mater Morbi.

Dylan Dog Mater Morbi

Più di ogni altro personaggio della Bonelli, Dylan Dog richiede ai suoi sceneggiatori un approccio autoriale ed empatico per poter tirarne fuori quanto di più emotivamente autentico possibile. L’Indagatore dell’Incubo, infatti, è emanazione diretta del suo autore, Tiziano Sclavi, unico e legittimo possessore della chiave di decodificazione della sua creatura. Dylan è però da anni orfano del suo complesso ed eccentrico demiurgo, che si limita più che altro a supervisionare la serie, lasciando il difficile compito di interpretare il personaggio allo staff di autori della casa editrice con risultati spesso manieristici e convenzionali che hanno portato, alla lunga, al ristagno qualitativo della serie.

Nel 2008, Mauro Marcheselli, all’epoca redattore di Dylan Dog nonché co-soggettista di alcune delle storie più memorabili del personaggio, chiese a Roberto Recchioni, prolifico e talentuoso sceneggiatore romano che aveva da poco esordito sulla serie, di scrivere una storia sulla malattia. Il Rrobe, come gli piace firmarsi, deve da sempre convivere con una singolare patologia ed ha spesso raccontato le sue tribolate vicissitudini sanitarie sul suo seguitissimo blog senz’alcuna autocommiserazione.

Mater Morbi

Solo chi ha vissuto l’orrore può raccontare l’orrore e l’autore ha proiettato la sua condizione, le sue esperienze e i suoi malesseri, fisici ed emotivi, nell’Indagatore dell’Incubo, rendendolo preda di una misteriosa malattia. Complice la superba resa grafica di Massimo Carnevale ne è venuta fuori la storia più importante di Dylan Dog, e una delle più importanti del fumetto italiano in generale, degli ultimi anni, pubblicata alla fine del 2009 sul n. 280 della serie regolare ed ora riproposta dalla Bao Publishing in un elegante cartonato per libreria.

Pur apportando la propria visione, Recchioni non dimentica le origini e le peculiarità del protagonista tirando in ballo la sua ipocondria e la sua paura degli esami clinici già espressa da Sclavi in Apocalisse, n. 143 della serie, pure d’ambientazione ospedaliera. Per entrare in sintonia con le pene del ricoverato Dylan sono fondamentali le didascalie introspettive che forniscono alla narrazione maggior ritmo di quanto farebbero i balloons pensiero, qui totalmente assenti.

Mater Morbi 5

Il confine tra la realtà e la dimensione allucinata si confonde e la scenografia ospedaliera viene filtrata attraverso una lente deformante che gli conferisce connotati da incubo. Le chine di Carnevale intrappolano ed ingoiano i personaggi in un’oscurità catramosa e claustrofobica. Tutto diventa sudicio, malsano, lugubre. I macchinari medici, già alienanti e glaciali, si trasformano in strumenti di tortura che sembrano usciti dalla mente di Giger. Stranianti inquadrature oblique presentano al lettore corsie dalle piastrelle spaccate e tenebrosi corridoi nei quali si muovono grotteschi infermieri dai camici sporchi.

Il capolavoro del disegnatore non sta solo nelle atmosfere ma anche e soprattutto nel cesellare espressioni, magistralmente ombreggiate dalle chine, che conferiscono davvero carne e sangue ai personaggi. Alcuni primi piani di Dylan, sofferente e con la barba incolta, sono di un’intensità quasi insopportabile. Il netto contrasto tra bianco e nero diventa grigio sfumato nei flashback. Nel prologo a colori aggiunto per quest’edizione, Carnevale illumina la sequenza con un insalubre verde acido.

Mater Morbi 4

La storia esplora il disagio interiore del malato, la sua solitudine, il suo rapporto con il mondo esterno che lo ama e lo compatisce al contempo, incapace di empatizzare fino in fondo con quel terrore atavico ed inconscio che rappresenta la sua condizione. Nella graphic novel Asso, Recchioni ha raffigurato il suo alter ego di carta in un letto d’ospedale che si domanda: “Perché a me?” La voce di un’entità superiore (forse quella del proprio io interiore) gli risponde: “Perché non a te?” Emerge in tal senso, come guida spirituale di Dylan, la figura del piccolo Victor, un bambino malato che ha imparato da tempo a convivere con la propria patologia e a non lottare inutilmente contro se stesso. “Non compiangerti. Impara ad accettare”, direbbe Stephen King.

Patito della metanarrativa, Recchioni incarna la malattia nelle sembianze della bellissima Mater Morbi, addolorata madonna del dolore col viso vergato da una lacrima nera, lussuriosa dark-lady inguainata in una tenuta sadomasochista di cuoio e borchie, con forbici chirugiche sul colletto e un gastroscopio come frusta, look che rimanda ai Supplizianti di Hellraiser. Un’immagine appropriata per un essere che ama facendo del male, odiata e rifuggita dall’umanità più della morte stessa, generatrice di orrori come i Tormenti, la malattia nella sua deforme mostruosità fisica più estrema, creature malate e malvagie che sembrano fuoriuscite da un episodio della saga videoludica di Silent Hill.

Mater Morbi 2

Le storie più riuscite di Dylan Dog sono da sempre quelle che riescono ad affrontare tematiche talvolta spinose e controverse di natura sociale. In questo caso l’autore tira in ballo eutanasia e testamento biologico. La posizione di Dylan in tal senso è chiara. Solo la morte potrebbe liberarlo dai tormenti di Mater Morbi ma viene ostacolato dall’accanimento terapeutico del dr. Vonnegut che ha l’aspetto trasandato di Klaus Kinski mentre il nome rende omaggio al grande scrittore americano, sostenitore dell’eutanasia che scrisse anche un racconto in merito mai pubblicato in Italia. Gli si oppone il dr. Harker, citazione dal Dracula di Stoker che pure tratta in modo più metaforico le stesse tematiche. Vengono citati anche gli scrittori Raymond Carver e Michel Faber.

Il volume presenta alcuni interessanti contenuti speciali tra cui un dietro le quinte della lavorazione, schizzi e studi di Carnevale, disegni inediti, le dichiarazioni di Recchioni e Sclavi e anche qualche pagina di sceneggiatura che si può scaricare in versione integrale all’indirizzo web allegato. Un’edizione davvero sontuosa ed elegante.

Mater Morbi 3

Mater Morbi è un racconto che ha presa sulle angosce del lettore, lo intrappola in un incubo claustrofobico dove prendono corpo l’ancestrale paura dell’inevitabile, l’orrore sovrastante del male fisico, la privazione del libero arbitrio, un parassita che nasce dentro di noi, che diviene parte di noi fino ad esserne identificati rendendoci degli emarginati, ma ci vuole in vita per continuare a nutrirsi come una sadica amante dal fascino perverso.

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