Barry Seal – Una Storia Americana di Doug Liman | Recensione

Pubblicato il 15 Settembre 2017 alle 20:00

Tom Cruise è un trafficante di armi e di droga che lavora per la CIA, la DEA e Pablo Escobar nel nuovo film di Doug Liman, tratto da un’incredibile storia vera.

Il decostruzionismo del sogno americano – è una tendenza cinematografica che da qualche anno a questa parte sta prendendo sempre più piede ad Hollywood – passa anche per Tom Cruise e Doug Liman, che tornano a collaborare dopo il bellissimo Edge of Tomorrow in un film biografico molto pop, molto intelligente, con qualche difetto ma sicuramente tanto, tanto divertente.

Barry Seal – Una Storia Americana racconta l’incredibile storia vera di Barry Seal, pilota della TWA che negli anni ’80 fece una montagna di soldi lavorando come corriere prima per la CIA, poi per il cartello della droga di Pablo Escobar, poi per tutte e due le organizzazioni contemporaneamente e infine diventando collaboratore ufficiale della DEA.

E’ una storia bella incasinata, lo so, (è lo stesso Barry a dirlo al pubblico a un certo punto) ma la sceneggiatura di Spinelli è acuta e ingegnosa e sempre elettrica e Doug Liman fa un ottimo lavoro nel metterla in scena, adattando la propria regia tanto alle situazioni quanto al periodo storico nel quale quelle situazioni hanno luogo (la storia inizia negli anni ’70, che Liman ci racconta utilizzando tantissima camera a mano – anche troppa forse – solo per poi irrigidire di molto le inquadrature – rendendo così il film più elegante – una volta arrivati negli anni ’80, nei quali Barry ha vissuto come un re).

Com’è lecito aspettarsi il film ruota esclusivamente intorno a Tom Cruise. Prendendo la sua filmografia e andando a ritroso, a cominciare dal tanto recente quanto orribile La Mummia, il nostro negli ultimi anni non ne ha azzeccata quasi una (con qualche felice eccezione, ovviamente: il già citato Edge of Tomorrow ne è una, ma non dimentichiamo i Mission: Impossible, un ruolo, quello di Ethan Hunt, che gli calza a pennello, come gli era calzato a pennello quello del primo Jack Reacher) e bisogna tornare all’ormai lontanissimo 2004 (Collateral) per una sua interpretazione degna di nota.

In Barry Seal – Una Storia Americana, Cruise non raggiunge mai i livelli raggiunti nel film di Michael Mann (e non scomodiamo neppure quelli inarrivabili di Eyes Wide Shut e Magnolia, senza dubbio le migliori interpretazioni della sua carriera) ma quel che è certo è che l’attore, nel secondo progetto capitanato da Liman, si è divertito un mondo: Barry è una versione un po’ distorta e moralmente flessibile del Maverick di Top Gun, con gli stessi occhiali da sole, la stessa spericolatezza e lo stesso sorriso da marpione (esilaranti le due scene in tribunale).

Il film, sulla falsa riga del cinema scorsesiano (il recente The Wolf of Wall Street ha dettato stilemi e caratteristiche di questo filone anti-sogno americano di cui parlavamo prima: si scava nel passato dell’America non più per bearsi della sua gloria ma per deridere quei momenti parossistici che si volevano dimenticare) rigetta ogni valore perbenista ed esalta invece l’arrivismo sociale e il capitalismo sfrenato, puntando contemporaneamente il dito contro la scellerata gestione reaganiana evidenziandone gli aspetti grotteschi e giudicandola senza nostalgia (il filone nostalgico è un altro di quelli che sta emergendo senza freni di sorta, ma qui viene assolutamente e categoricamente rigettato).

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