Le Avventure di Tintin vol. 4: recensione del fumetto che ha ispirato il film

Pubblicato il 3 Novembre 2011 alle 12:12

In occasione dell’uscita nelle nostre sale di Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno, del grande Steven Spielberg, diamo un’occhiata alle storie che hanno ispirato il film, riproposte in una nuova pregevole edizione da Rizzoli-Lizard.

Le Avventure di Tintin vol. 4

Autore: Hergé
Casa Editrice: Rizzoli-Lizard
Provenienza: Belgio
Prezzo: € 14,90; 192 pp. col. C.
Data di pubblicazione: Luglio 2011

Leggere Tintin oggi significa fare un salto in un’epoca in cui il fumetto muoveva ancora i suoi primi, incerti passi. Significa avvicinarsi a un autore formidabile che ha precorso i tempi, segnando un po’ tutto il mondo della cultura, non soltanto l’arte sequenziale. Del resto, per molti bambini, il primo incontro con il giovane reporter di Hergé sarà avvenuto grazie alle due serie animate trasmesse anche sulle nostre televisioni. E l’impatto delle sue storie, in modo simile a quello di un altro grande maestro come Will Eisner, ha contagiato l’immaginario di molti registi, fra cui lo stesso Steven Spielberg, che ha fortemente voluto portarlo al cinema dopo esserne stato influenzato nella sua infanzia.

Tintin, padre (o fratello maggiore) della Bande dessinée e dell’avventura, è stato un personaggio in evoluzione, sull’onda dei cambiamenti della storia del fumetto e della biografia del suo autore. Sembra di intravederli, ogni tanto, fra le pieghe delle sue movimentate vicende, i lati scuri di Hergé, figli della sua tormentata personalità. Come nell’incipit de La stella misteriosa, in cui in una manciata di vignette l’autore precipita Tintin e l’inseparabile Milou nell’incubo di una fine del mondo prossima e inevitabile, salvo poi ribaltare tutto in gustose parentesi d’ironia.

Gli inizi soprattutto, sono stati incerti. Tintin nel paese dei Soviet e Tintin in Congo sono opere acerbe e contestate, figlie di un autore immaturo e di circostanze particolari. Il loro valore è per lo più storico e collezionistico, e trovano giustamente posto sul primo volume di questa raccolta filologica dei 24 episodi (di cui uno incompleto) della vita editoriale del personaggio. Sempre sul primo volume si trova una presentazione di Philippe Daverio, supervisore dell’opera, che di fatto è l’unico intervento critico disponibile. Peccato che l’edizione fosse bloccata, perché approfondimenti vari sarebbero stati utili (specialmente al pubblico italiano, a cui l’edizione integrale si presenta per la prima volta) per definire il contesto di alcune storie.

In seguito Tintin ed Hergé sono cambiati insieme, anche grazie all’apporto di altri autori mai accreditati, e le sue avventure hanno assunto quelle caratteristiche che l’hanno via via migliorato, fino a capolavori della maturità come Tintin in Tibet. Questo quarto volume si fa segnalare per la presenza della nona avventura del personaggio: Il granchio d’oro, in cui fa la sua (poco) trionfale comparsa il capitano Haddock. Il quale, in seguito, sarebbe diventato una presenza fissa e insostituibile della serie, relegando sempre più il cane Milou al ruolo di macchietta comica. Questa vicenda, che nasce da una piccola indagine e degenera fino a trascinare Tintin in mare aperto, nel deserto del Sahara e infine in Marocco, tentando di sgominare un contrabbando di oppio, è certamente una delle più riuscite. Haddock, con il suo carattere impetuoso e le sue classiche esplosioni d’ira, porta alla serie massicce dosi di dinamismo e umorismo in più, trasformando ogni avventura in un tour de force.

La linea chiara e netta, la maestria nel linguaggio dei corpi e del viso, il gusto fortemente cinematografico delle inquadrature, sono, a onor del vero, presenti in ogni lavoro di Hergé, ma in questo caso particolare l’artista belga si concede una certa varietà di vignette ampie e ariose (quando non delle autentiche splash page) che sono fantastiche illustrazioni d’arte, pure e semplici, capaci di calamitare lo sguardo molto più di tante ipercinetiche pagine della contemporaneità.

Il poliedrico Edgar Wright, con Steven Moffat e Joe Cornish, prestigiosi sceneggiatori di Spielberg, hanno collegato la trama di questa storia alla terza del volume: Il segreto del liocorno. In questo caso, il fortuito ritrovamento del modellino di un galeone, mette in moto una girandola di eventi che coinvolgono i soliti Tintin e Milou, il capitano Haddock, i buffi Dupond e Dupont, il misterioso Ivanovitch Sakharina e una serie si altri loschi figuri alla ricerca del tesoro di Rackham il Rosso, famigerato filibustiere. E fra fughe rocambolesche, scontri, ladri misteriosi e le frequenti piogge di epiteti di Haddock, in preda al suo rapporto conflittuale con il whiskey, l’indagine si dipana fino al classico “continua”. Al cinema, ovviamente,  oppure al quinto volume.

Infine, come già anticipato, La stella misteriosa è una delle vicende più fantasiose di Tintin, con quel surreale finale popolato dagli incubi di una grottesca maledizione. Un racconto dove, oltre alle consuete dosi di azione, rielaborazione del genere avventuroso, umorismo, grande arte e sapienza narrativa, Hergé dimostra anche la sua vena insolita. Insomma, leggere Georges Prosper Remi (in arte Hergé) oggi, significa approcciarsi a un modo di intendere il fumetto unico e peculiare, proprio dei grandi fuoriclasse. E significa soprattutto grande divertimento ed estrema piacevolezza.

Perciò stiano tranquilli i fan di Tintin preoccupati che Hollywood ci vada giù pesante, perché niente può intaccare queste pagine.

voto: 8


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