La Torre Nera – Recensione

Pubblicato il 10 Agosto 2017 alle 23:26

Jake Chambers, un ragazzino newyorkese di undici anni che vive con la madre ed il patrigno, ha delle visioni sul Medio-Mondo, un luogo fantastico nel quale il malvagio Uomo in Nero cerca di distruggere la Torre Nera, sacro edificio su cui regge l’intera esistenza. Gli si oppone Roland Deschain, ultimo Cavaliere di Gilead.

L’Uomo in Nero non fuggì nel deserto e il Pistolero non lo seguì. E’ infatti del tutto assente in questa trasposizione cinematografica l’iconico avvio della saga de La Torre Nera, summa dell’intera produzione letteraria di Stephen King, perno su cui ruotano gli universi narrativi dell’autore di Bangor. Sette volumi più due spin-off, già adattati a fumetti dalla Marvel, che formano un grande capolavoro metaletterario. Basata su Childe Roland alla Torre Nera Giunse, poema epico di Robert Browning, la saga mescola svariate influenze, dal mito arturiano a Tolkien, dal western all’horror passando per la fantascienza e il genere post-apocalittico.

La gestazione dell’adattamento cinematografico è iniziata dieci anni fa, passata prima per le mani di J.J. Abrams (che si è ispirato all’opera di King per il suo Lost) e poi in quelle di Ron Howard che ha avuto l’idea di una trilogia cinematografica affiancata da una serie tv tuttora in fase di sviluppo.

Gira e rigira, tra rinvii e ripensamenti, la Columbia Pictures ha finito per affidare la regia del film nientemeno che al danese Nikolaj Arcel. Non sapete chi è? Dai, è quello che ha diretto successoni quali Kongekabale, De fortabte sjæles ø, Sandheden om mænd e poi il drammone in costume The Royal Affair con Alicia Vikander-Lara Croft e Mads Mikkelsen-Hannibal Lecter, candidato all’Oscar a fronte di un modestissimo riscontro al botteghino.

Un misero budget di 60 milioni di dollari cui si aggiungono tutta una serie di problemi in post-produzione e La Torre Nera arriva nelle sale con un’ora e mezza di minutaggio ed una visione d’insieme modestissima che non rende giustizia alla potenza immaginifica della prosa kinghiana. Un film modesto, banalizzato, piagato da brutti effetti visivi, alla stregua di un qualunque episodio cinematografico di Resident Evil o Underworld con il regista che si limita a puntare la macchina da presa su quello che accade, affida l’action al montaggio e non al movimento di camera.

Il film non è la trasposizione letterale di nessuno dei romanzi della saga ma prende alcuni elementi qua e là per introdurre il Medio-Mondo. Il primo volume della serie s’intitola L’Ultimo Cavaliere perché è con Roland il pistolero che intraprendiamo quest’avventura, è lui il protagonista ed è lui a conferire un ethos western alla narrazione. Il film viene invece raccontato dal punto di vista del giovane Jake che conoscerà il Medio-Mondo insieme al pubblico e sta a Roland come Bastian sta ad Atreyu ne La Storia Infinita o Luke Skywalker sta ad Obi-Wan in Star Wars.

Il Roland di Idris Elba non corrisponde esteticamente al Clint Eastwood del romanzo ma King ha dato il suo benestare ed il Luther televisivo è sempre efficace nel ruolo del duro sofferente dal cuore tenero. Matthew McConaughey è stato in lizza per interpretare Randall Flagg nella nuova trasposizione de L’ombra dello scorpione ed ha finito per vestire i panni dell’Uomo in Nero. Chi conosce la narrativa kinghiana sa cos’accomuna i due personaggi. E’ evidente però l’urgenza di rendere Roland un supereroe e l’Uomo in Nero un supervillain conferendo ad entrambi degli autentici superpoteri mentre le rispettive filosofie restano appena accennate.

Gli elementi fantasy e gli spiegoni prendono il sopravvento sulla componente intimista e sul misticismo, non si respira l’afflato western. La trama è un girotondo stucchevole: l’Uomo in Nero arriva sulla Terra a cercare Jake che si trova nel Medio-Mondo con Roland; l’Uomo in Nero torna nel Medio-Mondo mentre Roland e Jake giungono sulla Terra. Tutto va a parare ad un rapimento ed un salvataggio. Non si raggiunge alcun apice emotivo, la Torre Nera viene mostrata senz’alcuna enfasi epica e i riferimenti alle altre opere kinghiane sono puramente fan service. Se siete a digiuno dei romanzi della saga, non commettete l’errore di giudicarli in base al film. Se doveste farlo, per dirla con le parole di Roland, avreste dimenticato il volto dei vostri padri.

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