Dylan Dog n. 370: Il terrore – Recensione in anteprima

Pubblicato il 28 Giugno 2017 alle 18:53

Le forze dell’ordine londinesi si mobilitano per prevenire un potenziale attacco terroristico. Mentre gli organi d’informazione alimentano la psicosi attentati, il progetto scientifico scolastico del giovane Ahmed viene scambiato per un ordigno esplosivo. Il ragazzo si ritrova suo malgrado braccato da polizia ed esercito e Dylan Dog finisce fortunosamente coinvolto nella sua fuga.

Agli attuali sceneggiatori in forza sulle pagine di Dylan Dog non si chiede di scimmiottare lo stile di Tiziano Sclavi, creatore del personaggio. Anzi, la filosofia dell’attuale direzione editoriale è proprio quella di portare sulla testata autori dalla forte personalità che possano dare la propria interpretazione dell’indagatore dell’incubo restando però fedeli al tono e alle fondamenta stabilite dal suo demiurgo. E’ un equilibrio precario, difficile da mantenere e, in tal senso, Gabriella Contu, esordiente sulle pagine della serie, si dimostra un’ottima funambola.

La sceneggiatrice cala Dylan nell’attuale tessuto sociopolitico anglosassone, piagato dai recenti attentati terroristici ed in piena Brexit, adesione popolare che segna una chiusura verso i flussi migratori. L’atteggiamento dell’eroe-antieroe è, come sempre, moralista e politicamente corretto, anche ingenuo in maniera irritante nel fidarsi alla cieca dei genitori di Ahmed, al punto che si sente quasi la necessità di John Ghost.

La Contu non ricorre alla metafora, non c’è un elemento horror o sovrannaturale, e mantiene la narrazione sul piano prettamente realistico con lievi virate verso uno sfumato surrealismo, una vena di grottesco ed una satira sottilissima e tagliente. Perfetta in tal senso la scelta di Giampiero Casertano alle matite che più volte si è dimostrato capace di catturare la quotidianità della Londra fumettistica mettendo sullo sfondo scenografie dettagliatissime e, in primo piano, personaggi profondamente umani, caricaturali quanto basta per renderli memorabili.

Coinvolgere Dylan nella vicenda per una pura coincidenza è un pretesto del tutto giustificato poiché la struttura drammaturgica è quella di una commedia degli equivoci e tutti gli archi narrativi convergono nel gran finale proponendo i rispettivi punti di vista, quelli, appunto, di Dylan ed Ahmed, dello xenofobo che fa la figura del fesso per tutta la storia, delle forze dell’ordine, dei media, degli autentici terroristi e, su tutto, quello dell’opinione pubblica che ragiona più di pancia che di testa.

La sceneggiatura conferisce alla lettura un ritmo forsennato, è una storia di rapidissima lettura, priva di tempi morti, mai didascalica o pedante nel proporre le varie tematiche che vengono invece lasciate alle azioni e alle reazioni dei personaggi agli eventi. La struttura ordinata delle tavole non riflette l’escalation di caos nel racconto. E’ altresì vero che si tratta di un caos che si sta facendo sempre più familiare ed ordinario, quindi ingabbiarlo in tavole convenzionali può avere una ragione metatestuale.

Scambiato per un terrorista, Ahmed è, in realtà, un ragazzino appassionato di scienza, latore di progresso. E la luce della ragione che abbaglia per un istante, purtroppo solo per un istante, i personaggi della storia, viene spazzato via in maniera brutale e simbolica. Quei lettori che sono già pronti a lamentarsi per l’assenza dell’elemento horror, farebbero bene a pensarci sopra.

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