Recensione – Twin Peaks: “The Return”, parte sette

Pubblicato il 27 Giugno 2017 alle 15:00

“Il buon Dale è nella Loggia e non riesce ad uscire”.

Ci sono voluti sei episodi a questa terza incarnazione di Twin Peaks, ma finalmente con il settimo capitolo la serie sembra sulla via per tornare a … beh, Twin Peaks.

Nelle sei puntate precedenti tutto il mondo è stato spiazzato dalla visione di David Lynch, la cui narrazione a fuoco basso (bassissimo), riempita di  personaggi nuovi e soprattutto ambientata in larga parte lontano dalla cittadina che dà il titolo alla serie evento, ha subito non poco la prepotenza delle tante bizzarrie surreali e delle tantissime sotto-trame, tutte disconnesse fra loro, con le quali l’autore ha ripopolato il suo affascinante e stranissimo mondo di gioco.

Ma se è vero che al cinema puoi permetterti di sfogare quella vena surrealista che senti pulsare nelle tempie e concentrare quelle oscure fantasie in un film da due, due ore e mezza (Strade Perdute, Mulholland Drive) senza badare troppo alla coerenza narrativa, è altrettanto vero che non puoi farlo nel mondo della narrazione a capitoli della televisione (soprattutto se il mondo che hai concepito prevede la bellezza di 18 episodi). E appena superato il primo terzo del cammino previsto, Lynch va un po’ incontro ai suoi spettatori e inizia ad unire i puntini, rispondendo subito ad una delle domande che erano sorte alla conclusione dello scorso episodio.

Quelle trovate da Hawk sono pagine del diario di Laura. E se una pagina è ancora mancante, le altre si ricollegano a Fuoco Cammina Con Me (la scena dell’incontro fra Laura ed Annie) e all’agente Cooper.

No, per qualche ragione nessuno si è ancora reso conto che Dougie ha dei seri ed inequivocabili problemi cerebrali, ma se la scena con il nano assassino è stata così sorprendente ed appassionante, allora continuare a tirare per le lunghe la sotto-trama del “lento risveglio di Cooper” non farà che rendere ancora più appagante la sua futura risoluzione.

La scena all’obitorio è forse la migliore della puntata: mentre i segreti si accumulano e la bella agente federale parla al telefono in primo piano, sullo sfondo la figura inquietante di un uomo misterioso si avvicina camminando lentamente. Mi è sembrato un omaggio a It Follows di David Robert Mitchell, che tanto è stato influenzato da Lynch nella realizzazione del suo horror capolavoro, e ho particolarmente apprezzato questa inquietante strizzatina d’occhio.

La Diane di Laura Dern si rivela una tipa tutta pepe e vaffanculo, e un altro grande momento dell’episodio gira proprio intorno a lei: in un colloquio faccia a faccia con quello che tutti credono sia l’agente Cooper, la donna si rende conto che quello non è davvero il suo Cooper (rendendo ancora più inspiegabile il perché il personaggio di Naomi Watts non riesca a rendersi conto che quello non è il suo Dougie).

La realizzazione della donna apre le porte a nuove svolte nello sviluppo di questa ammaliante, evocativa e misteriosa trama, che sta giocando consapevolmente e sadicamente con i bisogni degli spettatori del XXI secolo portando a forza l’arte surrealista di David Lynch nei salotti di tutto il mondo. Cambiare canale o restare sintonizzati è una scelta che spetta a voi.

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