Recensione Fargo 3×10 – “Somebody to Love”

Pubblicato il 1 Luglio 2017 alle 10:00

Un finale meta-testuale che chiude il cerchio di Fargo La Serie nel più sanguinoso dei modi.

Un epilogo più celebrativo dell’intera serie non potevamo proprio sperarlo. Fargo fa il botto nel finale della terza stagione, che potrebbe essere anche il finale di serie.

Non solo Noah Hawley gioca visivamente per l’ennesima volta – l’ultima – con la fittizia didascalia iniziale che vuole rassicurare sulla veridicità dei fatti che sta per raccontare, ma lo fa anche contestualmente, attraverso le parole di Varga (David Thewlis) nel suo confronto finale con Gloria (Carrie Coon), che riassumono alla perfezione l’intero concetto narrativo alla base della serie:

“Il passato è imprevedibile. Ma chi di noi due può dire con esattezza cosa sia avvenuto, cosa realmente sia avvenuto, e non sia un pettegolezzo, disinformazione, o un’opinione personale? Le foto possono essere ritoccate. Vediamo ciò che a cui crediamo, e non viceversa.”

Di ciò che è stato non bisogna mai fidarsi, insomma, soprattutto perché verrà riportato come fa più comodo ai superstiti.

Che, incredibilmente, in questa terza storia sono davvero pochi: dopo aver ottenuto la loro vendetta e redenzione, sia Nikki (Mary Elizabeth Winstead) che Emmit (Ewan McGregor) soccombono agli eventi, che sono evidentemente più grandi di loro. Non c’è redenzione e non c’è speranza in questa storia di Fargo, a parte per Gloria, unico personaggio positivo lungo tutta la stagione.

Lei si riconferma pragmatica anche nel finale quando vorrebbe rinunciare al proprio posto di lavoro, scoraggiata dall’esito delle indagini sulle morte del patrigno, ma dovrà ricredersi quando verrà contattata dall’Agenzia delle Entrate (rappresentata dal ritrovato personaggio di Hamish Linklater).

Dopo essere stata “vista” dal mondo e dalla tecnologia grazie a Winnie, ottiene anche un proprio riscatto personale.

Per contraltare, “del doman v’è (assoluta) certezza” sempre attraverso le parole di Varga a Gloria, in cui egli riesce addirittura ad auto-citare il proprio problema di bulimia, metafora della sorte delle aziende a cui ha fatto un prestito:

“Il futuro è certo. E quando arriverà lei saprà senza ombra di dubbio il suo posto nel mondo. Ogni ulteriore dibattito, sarebbe uno spreco di fiato. E se c’è una cosa che non sopporto è lo spreco.”

La morte di Nikki è diretta da Keith Gordon in modo esemplare: il campo lungo della strada in mezzo alla neve, le tre (poi due) automobili lungo il ciglio, la simmetria perfetta dei corpi distesi, quello della Swango e del malcapitato poliziotto.

Con Emmit che per l’ennesima volta è inetto, inadeguato nonostante sia un self-made-man (vedi la trovata del francobollo simbolo della sua fortuna appiccato in testa, geniale): in lui prevale sempre l’istinto di sopravvivenza e, se un attimo prima era pronto a morire per espiare la colpa di aver ucciso Ray, l’istante dopo è determinato a incolpare Nikki e farla arrestare (o uccidere) dal suddetto poliziotto. Strano che non abbia nascosto una valigetta piena di soldi nella neve.

“Gli uomini non hanno valori a parte i soldi che guadagnano. I gatti hanno dei valori per esempio perché forniscono conforto agli esseri umani. Ma uno spiantato con il sussidio ha dei valori negativi, quindi la morte di Emmit ha più valore di quella di uno sfaticato.”

Una dichiarazione d’intenti, di poetica e una filosofia di vita quella di Varga (e di Hawley e dei fratelli Coen, per traslato), tanto cinica quanto pratica, proprio come l’universo filmico – e oramai consacrato anche come televisivo – di Fargo.

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