Recensione – Gold, di Stephen Gaghan

Pubblicato il 8 Maggio 2017 alle 15:00

Il terzo film di Stephen Gaghan è un’avventura con sfumature noir che si ispira alla vera storia dello scandalo minerario Bre-X del 1993.

Chi trova un amico trova un tesoro, giusto? A volte è così. Altre volte, invece, le cose vanno un po’ diversamente.

Partendo come voice-over, il film racconta la storia di Kenny Wells (un quasi irriconoscibili e mastodontico Matthew McConaughey), un cercatore d’oro figlio di cercatori d’oro che sta attraversando un periodo davvero arido dal punto di vista economico. La nascita dell’amicizia con il geologo Michael Acosta porterà in Indonesia, all’inseguimento di un sogno: trovare il più grande giacimento d’oro del mondo. Oltre al successo, però, Kenny si ritroverà ad affrontare tutta una serie di imprevisti che non aveva messo in conto.

Gaghan, qui alla sua terza regia dopo Abandon e il bellissimo Syriana (anche qui si parlerà di geopolitica), è intelligente a raccontare una storia di dipendenze camuffandola da febbrile avventura alla ricerca dell’oro: è un film sulle sigarette, sul fumo, sull’alcool mandato già convulsamente.

E’ soprattutto un film sulla droga, e in questo senso si percepisce che la storia di Kenny Wells è la storia di Stephen Gaghan (che, oltre ad essere stato lo sceneggiatore premio Oscar di Traffic, che parlava del problema droga a 360°, è stato lui stesso un tossicodipendente): entrambi hanno trovato l’oro (uno nella giungla del Borneo, l’altro ad Hollywood) ed entrambi hanno dovuto affrontare le conseguenze che l’oro si è inevitabilmente portato dietro.

So cosa state pensando: voice-over stile Scorsese, droga, soldi a palate, Matthew McConaughey … siamo di fronte al sequel (o prequel) di The Wolf of Wall Street?

In un certo senso si (non a caso il marketing ha giocato tanto su questa cosa: la tagline del film è infatti “Wall Street ha trovato il suo nuovo Lupo”) ma ci sono delle profonde differenze fra i due lavori.

Innanzitutto c’è da dire che, se nella prima parte Gold sembra in effetti un remake nella giungla del film con Di Caprio, nella seconda un twist narrativo ribalterà completamente le atmosfere (cosa che mancava in The Wolf of Wall Street, inteso come una parabola di ascesa e caduta).

Inoltre, Jordan Belfort era essenzialmente un personaggio amorale, e questa sua amoralità veniva sottolineata dal cinico finale. Kenny Wells invece, non è solo un sognatore, ma anche un lavoratore: lui per raggiungere il proprio sogno non truffa, lui suda, lavora nel fango fino alle ginocchia (c’è una bellissima battuta sulle “unghie sporche di terra” che centra perfettamente il senso del film), e le vene non sono soltanto le vene dell’oro, nascoste sotto terra, ma sono anche quelle nascoste sotto la pelle, che si gonfiano sulle tempie per lo sforzo, per la fatica di arrivare a quel sogno.

Ma Gold è anche un film sull’amicizia, quella vera, che nasce genuinamente quasi per una questione di fortuna, o di destino. Non a caso viene mostrato A Friend in Need (Un Amico nel Bisogno), dipinto dei primi del ‘900 del pittore americano Cassius Marcellus Coolidge; forse lo conoscete: è quello con i cani che giocano a poker, che in primo piano mostra uno dei cani – il fumatore – che, sotto banco, con la zampa sinistra, allunga un asso all’amico-cane di fianco a lui.

“L’unica carta che conta è l’ultima che peschi” è il mantra di Kenny Wells. E nel suo caso è totalmente vero.

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