Recensione – Marvel’s Iron Fist

Pubblicato il 17 Marzo 2017 alle 22:12

Netflix presenta il quarto Difensore in Marvel’s Iron Fist, ultima serie stand-alone prima dell’esordio della miniserie che vedrà i supereroi del mondo Marvel/Netflix uniti contro Elektra e la Mano. E nei 13 episodi che compongono questa prima stagione del suo show, Danny Rand presenta al mondo il suo biglietto da visita.

Da un paio d’anni a questa parte pare che una strana ed inquietante tendenza abbia iniziato ad insinuarsi (prima si insinuava, ora dilaga) nelle menti di chi scrive di cinema e/o televisione: un mix letale e asfissiante di politically correct, perbenismo e pseudo puritanesimo.

Gli #Oscarsowhite, il James Bond di colore, le valchirie di colore, le Hermione che cambiano colore, tutto nella società contemporanea deve avere un colore, altrimenti non va bene. Altrimenti è razzista. Altrimenti non è al passo coi tempi.

Delle tante critiche mosse a questa serie, ne ho letta una particolarmente arguta: che il cast era sbagliato perché esclusivamente caucasico (solo a me Jessica Henwick sembra chiaramente asiatica?), ma il più sbagliato di tutti era l’attore protagonista, Finn Jones, perché un bianco non sarebbe adatto al ruolo di un maestro del kung-fu.

Ora, a parte il fatto che associare un asiatico al kung-fu è già di per se piuttosto razzista, non riesco proprio a capire perché, stando ai ragionamenti ben pensanti dei puritani di cui sopra, il Danny Rand creato da Roy Thomas e Gil Kane nel passare dai fumetti alla televisione avrebbe dovuto cambiare etnia ed essere interpretato da Jackie Chan.

A voi quella della razza sembra una critica costruttiva? Questa serie ne ha di problemi, ma sul casting è stato fatto un lavoro egregio. E Finn Jones, svestita l’armatura di Ser Loras Tyrell, è un Pugno d’Acciaio perfetto (non so per voi, ma per me la perfezione in un ruolo si raggiunge quando non si riesce più ad immaginare un altro attore in quel determinato ruolo, e a Jones basteranno non più di un paio di puntate per diventare il vostro solo ed unico Iron Fist).

Guardate, la serie non è perfetta, ma di certo è molto divertente e anche piuttosto interessante sotto più di un punto di vista.

Anzitutto è spesso volubile e sempre mutevole (all’inizio è molto kafkiana, in stile Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo, poi si fa un po’ Fight Club, un po’ Erin Brockovich e un po’ Solo Dio Perdona di Refn) e vi riserverà tanti colpi di scena, di cui alcuni davvero molto sorprendenti. Inoltre troverete tantissimo Shakespeare (Giulio Cesare, Romeo e Giulietta), Mary Shelly (un personaggio porta l’alias di “Frank Stain”), un mucchio di proverbi zen, bellissimi combattimenti, un ammirevole livello di introspezione e l’effetto speciale per il Pugno d’Acciaio è una delle cose più fighe che potete trovare in televisione (semplice, ma sia funzionale che elegante).

Si, la trama è molto sbrigativa. E si, spesso avrete la sensazione di essere al cospetto di un fratellino minore di Daredevil, meno impegnato e soprattutto meno elegante. E ancora si, Iron Fist è praticamente un prologo di tredici episodi a The Defenders, e il suo vero obiettivo è quello di presentare Danny Rand e la sua storia al pubblico che non ha mai sentito parlare di lui per introdurlo in vista dell’attesa mini-serie.

Ma questa prima stagione di super kung-fu è divertente e non stanca mai, e dato che vengo da un binge-watch di tredici ore no-stop potete fidarvi. E’ una storia che parla della famiglia, di quella che vorremmo e di quella che invece abbiamo, una storia che parla di dualismo, una storia che parla di manualità (ci sono tantissimi dettagli di mani, mani che accarezzano, mani che colpiscono, proprio come in Solo Dio Perdona) e dell’idiosincrasia fra dovere e volontà.

Magari raccontata in modo banale, ma comunque appagante e degna di essere seguita.

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