The Great Wall – Recensione

Pubblicato il 26 Febbraio 2017 alle 23:56

William e Tovar, due mercenari europei, giungono in Cina, sotto il regno della dinastia Song, in cerca della polvere nera. Vengono catturati dall’esercito imperiale conosciuto come l’Ordine senza nome e condotti alla Grande Muraglia dove l’armata si prepara a respingere l’invasione di un’orda di mostri alieni che si ripete ogni sessant’anni.

A volerlo fraintendere, The Great Wall potrebbe diventare il film preferito di Donald Trump che ha riportato tristemente d’attualità le barriere architettoniche da erigere contro quegli extracomunitari che lui ritiene “invasori”. A voler essere obiettivi, si tratta tristemente del primo marchettone di Zhang Yimou che piega il suo talento alle esigenze commerciali hollywoodiane per il solito polpettone tutto effetti visivi e poca sostanza della Legendary che mescola qui wuxia e fantascienza con risultati indigesti.

Dovrebbe essere una storia di pura epica cinese ma il regista deve adattarsi al pubblico occidentale mettendo al centro della narrazione Matt Damon, qui nel ruolo di un mercenario europeo, presumibilmente inglese, accompagnato dal cileno Pedro Pascal (Game of Thrones), qui versione spagnolo. Eroe il primo, canaglia e vigliacco l’altro nella più banale delle dicotomie. Willem Dafoe interpreta il personaggio più inutile della sua carriera risultando un mero doppione di quello di Pascal.

Tutti i personaggi sono tagliati con l’accetta e monodimensionali, figli di una sceneggiatura svogliata. Come impone l’attuale ventata di girl power, la bella Tian Jiang diventa immediatamente comandante della sua divisione, uccidendo subito il proprio potenziale arco narrativo. Immancabile il cadetto inesperto e maldestro in cerca di un’opportunità di riscatto.

L’aura mitica che dovrebbe ammantare la Grande Muraglia e l’esercito viene spazzata via in maniera terribilmente goffa quando scopriamo come i soldati si siano fatti abbindolare da un branco di bestie aliene che hanno scavato un foro nell'”impenetrabile” bastione. Ai limiti del kitsch il palazzo imperiale che diventa l’Area 51 dove vengono eseguiti esperimenti su un alieno catturato.

In quest’accumulo di trash, Yimou cerca uno spiraglio per dar sfogo alla sua estetica. Scenografie e costumi sono sontuosi e l’uso didascalico dei colori è uno dei marchi del cineasta ma c’è spazio e tempo per due sole battaglie, pigre scaramucce che vivono più di panoramiche, scene di massa ed effetti visivi mediocri che di elaborate coreografie.

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