Split – Recensione

Pubblicato il 27 Gennaio 2017 alle 22:41

Tre giovani ragazze, Claire, Marcia e l’emarginata Casey, vengono rapite da Kevin Wendell Crumb, un uomo affetto da disturbo dissociativo della personalità, nella cui mente convivono 23 identità diverse che entrano in conflitto tra loro. Kevin è in cura dalla psichiatra Karen Fletcher, convinta che vi sia un’altra personalità nascosta dentro di lui che attende di venire a galla per dominare sulle altre.

M. Night Shyamalan è tornato a fare quello che sa fare bene, un thriller psicologico con un elemento sovrannaturale e il colpo di scena finale. Componenti che hanno decretato il successo dei suoi primi film prima del disastroso passaggio ai blockbuster ad alto budget con L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth, pessimi nonostante i buoni incassi. Con l’horror The Visit, sua prova precedente, Shyamalan ha dato la sensazione del pugile in procinto di rialzarsi dopo il k.o. ma ancora barcollante. Con Split, il regista è di nuovo in piedi e pronto a dire la sua.

A fronte di una sceneggiatura a tratti didascalica, la regia non lascia scampo ai protagonisti, scavando nella loro condizione emotiva tra primi piani, riprese in soggettiva e inquadrature fisse con un montaggio che conferisce un buon dinamismo alla narrazione.

James McAvoy, ancora con la pelata di Xavier, si diverte nel tratteggiare in maniera sintetica le diverse personalità di Kevin. Il suo nascondiglio fatto di stanze claustrofobiche e stretti corridoi è un riflesso della sua mente contorta dalla quale le ragazze rapite cercano di fuggire.

Delle tre, Anya Taylor-Joy, già apprezzata in The Witch (e potremmo ritrovarla con McAvoy in New Mutants), è l’emarginata che condivide con Kevin un passato di abusi e tenta di instaurare un dialogo empatico con la sua personalità fanciullesca. Tocca a Betty Buckley, in veste di psichiatra, somministrare spiegoni semplificativi al pubblico sulla condizione e l’evoluzione del protagonista.

Delineati situazione e personaggi nella prima parte, Shyamalan riesce a mantenere alta la tensione nel prosieguo e non resta ingarbugliato nell’intreccio delle identità di Kevin, anzi, lo sviluppo resta agile e trascinante verso un finale nel quale le dinamiche thrilling sfociano nell’action e nella violenza. La struttura del film è quindi legata a doppio filo con la condizione emotiva del protagonista.

Il vero colpo di scena sta nella sequenza durante i titoli di coda e si ha la sensazione di aver assistito alle origini di un supervillain e alla nascita di uno shyamalanverse con il rischio che la ritrovata autorialità del regista possa restare ancora incatenata e conforme alle attuali dinamiche commerciali hollywoodiane.

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