Festival di Roma: Recensione – Snowden

Pubblicato il 14 Ottobre 2016 alle 17:33

Oliver Stone torna in pompa magna con uno spy-thriller a cavallo fra dramma e documentario.

Ultimamente sta nascendo un curioso sotto-genere legato alle trasposizione cinematografiche di fatti storici accaduti l’altro giorno, al massimo il mese scorso. E Snowden, il nuovo film dell’amato/odiato Oliver Stone, di certo ne fa parte.

Manzoni faceva intendere che gli unici giudici possibili per il passato sono le generazioni future, in grado di esaminare un contesto storico diverso da quello in cui vivono con occhio più distaccato e, in questo modo, più critico.

Oliver Stone vuole accelerare i tempi portando sul grande schermo storia di Edward Snowden, ex dipendente di CIA e NSA che tradì il governo americano rendendo pubblica tantissime informazioni governative segrete, tra le quali anche quelle relative al programma di intercettazioni pubbliche.

Il lavoro di Stone attinge a piene mani dal documentario su Ed Snowden Citizenfour, di Laura Poitras, ma trattandosi di un film tende ad estremizzare e/o abbellire alcuni passaggi per enfatizzare la suspance e il ritmo del film.

Ritmo che forse è proprio il tallone d’Achille della pellicola, probabilmente troppo dilatata nella narrazione e a tratti poco chiara in più di un passaggio  (a meno che non siate tecnici del computer: io non lo sono, perciò alzo le mani).

L’intrigo da spy/hacker-story è indubbiamente interessante (la storia di Snowden ha fatto discutere il mondo intero, insieme a quella di Wikileaks, ma la tensione va a perdersi nel momento in cui viene inframmezzata dalla storia della vita privata di Snowden, ed in particolare il racconto della storia d’amore con Lindsay.

Inquietante la visione che Stone ci offre del nostro mondo, e particolarmente disturbante (ai limiti dell’horror, in un certo senso) l’unica scena di sesso della pellicola, con l’occhio della webcam del computer da lavoro come freddo e silente testimone.

Ottimo lavoro degli attori protagonisti, tra un Joseph Gordon-Levitt azzeccatissimo e facilitato dalla somiglianza con il vero Snowden e una splendida Shailene Woodley, capace di dare una buona profondità al suo personaggio.

Ciononostante il ruolo della donna è sempre stato relativamente ai margini del cinema stoniano, e il ruolo della Woodley qui è quello della moglie di Jim Garrison, e funge da supporto (o ostacolo) per il protagonista.

Da un punto di vista retrospettivo, il film ha parecchi punti di contatto con le pelliccole che hanno fatto la fortuna del regista: in Edward Snowden, un disilluso idealista dichiarato, c’è tanto del Jim Garrison di JFK, del Ron Kovic di Nato il 4 Luglio e perfino dei personaggi che furono di Charlie Sheen in Platoon Wall Street, vale a dire Chris Taylor e Bud Fox.

Eppure si distacca al contempo dalle oscure ambizioni di Jim Morrison, Richard Nixon e Alessandro Magno  (per lo meno le versioni di Stone di Morrison, Nixon e Alessandro il Grande) e in questo senso il film va piuttosto controcorrente rispetto agli standard di Stone, restando sobrio al limite dell’anonimia nel cercare di far convivere cinema e politica.

La sensazione è che Stone, un uminista vecchia scuola, non sia troppo a suo agio nel parlare di tecnologia, e infatti ciò che riesce meglio a questo film (e che probabilmente è l’obiettivo ultimo di Stone) è fornirci il più alto numero di informazioni possibili per costruirci una nostra opinione su Edward Snowden (di cui Obama, la Clinton e Trump non sono propriamente dei fan).

Se cercate la suspance al cardiopalma di una ricostruzione storica come può essere ad esempio Argo, potreste rimanere delusi. Se volete riflettere sui concetti filosofici di giusto e sbagliato o il rapporto fra Stato e individuo, siete nel posto giusto.

 

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