Recensione – Marvel’s Luke Cage

Pubblicato il 1 Ottobre 2016 alle 11:30

La nuova serie tv Netflix potrebbe non essere lo show supereroistico definitivo, ma sa  comunque  essere moralmente profonda e divertente.

Con i drammatici avvenimenti che hanno tempestato l’estate statunitense e il sorgere del movimento Black Lives Matter, uno show televisivo su un supereroe di Harlem non poteva scegliere un contesto storico più burrascoso nel quale esordire. E non a caso Marvel’s Luke Cage è una serie densa di positività.

Disponibile su Netflix da oggi (30 settembre), Marvel’s Luke Cage ha davvero tanto da dire e lo dice nel modo giusto. Spesso lo fa cantando (al ritmo swagg di Harlem) oppure fregiandosi di quella mentalità intellettuale da quartiere che è al tempo stesso genuina e motivazionale.

Forse come trama e a livello di sceneggiatura è un tantino troppo ripetitiva e un po’ deludente, ma il messaggio che voleva trasmettere viene trasmesso forte e chiaro, e la parabola della rivincita del mondo della strada è così soddisfacente che si è ben lieti di chiudere un occhio di fronte a queste mancanze.

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E’, di base, la differenza fra il mondo Marvel dei blockbuster da cinema e il mondo Marvel/Netflix: se il primo è universalmente accessibile, dal punto di vista della profondità contenutistica lascia un po’ a desiderare; il secondo, invece, magari non risulta appetibile a tutti, ma è di gran lunga più provocatorio e maturo.

Jessica Jones prendeva un’alcolista con disturbo da stress post traumatico e un cattivo spietato col potere di controllare la mente per mettere insieme una storia di rancori e vite spezzate che cercavano disperatamente di andare avanti. Daredevil usava la cecità e l’oscurità di un quartiere violento per raccontare la vita di un avvocato cattolico mascherato da diavolo che oscilla costantemente fra bene e male, fra legge e criminalità.

E Luke Cage regge il confronto narrando le vicende di un quartiere in decadenza (Harlem) che mosso dallo spirito del rinascimento cerca in tutti i modi di guarire se stesso … aiutato da un omaccione nero con la pelle indistruttibile.

Avevamo già fatto la conoscenza del personaggio, interpretato da Mike Colter, nella serie tv di Jessica Jones. In quegli episodi abbiamo imparato a conoscere i suoi poteri (Jessica ha scoperto anche un altro aspetto delle sue “doti fisiche”), e nella sua serie stand-alone ritroviamo il buon Luke nei panni di spazzino del barbiere di quartiere, che è anche una sorta di istituzione comunitaria nella quale i clienti discutono su chi sia il miglior coach di basket fra Pat Riley e Phil Jackson.

Di notte, invece, lavora come lavapiatti all’Harlem’s Paradise, un nightclub gestito dal malvivente Cornel Stokes, aka Cottonmouth (interpretato dal buon Mahershala Ali, già visto nell’altra serie Netflix, House of Cards), un cattivo che non farà altro che ridere (davvero, riderà in quasi ogni scena).

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La regia (alla quale si alternano Paul McGuigan, Guillermo Navarro e altri) mira fin da subito a sottolineare la differenza sociale fra l’ambiente capitalista all’interno del quale si muove Cottonmouth, e quello popolare della Harlem della quale Luke vuole far parte, e che vuole aiutare a migliorare. E, ovviamente, il contrasto scenografico rimanda al conflitto fisico tra eroe e criminale.

Come il Wilson Fisk di Marvel’s Daredevil, insomma, Cottonmouth è un vizioso killer senza scrupoli o rimorsi, dotato però di quello strano e nobile senso di lealtà e amorevolezza nei confronti del quartiere in cui è cresciuto, e che anche lui, con i suoi discutibili metodi, vorrebbe elevare.

Dove i film Marvel utilizzano gli effetti speciali per catturare l’attenzione del pubblico, gli show Netflix, causa budget notevolmente e naturalmente inferiori, devono ovviare con tematiche forti e accattivanti: e come Jessica Jones e Daredevil, anche Luke Cage sa essere aggressivo e intelligente, e il protagonista diventa una sorta di moderno Uomo Invisibile, parabola dell’alienazione già descritta nel celebre romanzo di Ralph Ellison (citato candidamente in un episodio).

La serie offre anche una fotografia ottimamente elegante, diretta da Manuel Billiter, che già aveva curato quella di Jessica Jones, e il ritmo delle scene chiave è scandito alla perfezione da una superlativa colonna sonora, composta sbracatamente da brani hip-hop con l’aggiunta di pezzi originali di Adrian Younge e del veterano degli A Tribe Called Quest, Ali Shaheed Muhammad, che mescolano atmosfere della blaxpolitation anni ’70 ad un taglio rap più moderno.

Marvel's Luke Cage

Come se tutto questo ambaradan di hip-hop non bastasse (tra l’altro, a così poca distanza da The Get Down, la serie Netflix creata da Buz Luhrmann e che racconta la nascita dell’hip-hop e della disco music) c’è anche spazio (ovviamente) per Nina Simone, Big Notorious, Tupac, Sway in the Morning, ASAP Rocky, Kendrick Lamar e i Wu-Tang Clan e, inoltre ogni titolo dei tredici episodi riprende quello di una canzone dei Gang Starr.

I primi episodi sono così deliziosamente intelligenti che mentre lo show prosegue non riesci ad accorgerti immediatamente che tutti gli elementi che ti aspetti da una serie tv sui supereroi sono, a tutti gli effetti, assenti: Luke è probabilmente troppo potente per i suoi avversari, e il più delle volte non si sforza granché per risolvere i vari combattimenti contro i criminali di turno. Ne risultano stunt non troppo curati e scene d’azione più divertenti che spettacolari (fa sempre ridere vedere le espressioni dei malviventi quando si accorgono della pelle indistruttibile di Luke, anche se arrivati al decimo episodio vi chiederete: “Perché continuano a sparargli? Non hanno capito l’antifona?”).

La Misty Knight di Simone Missick e la solita Claire interpretata da Rosario Dawson si dividono il ruolo di protagonista femminile, anche se la prima spesso sembra scritta troppo banalmente (a volte, e potrà sembrare brutto da dire, dimostra di avere più tette che cervello) e la seconda è sempre più calamita per le calamità.

Colter, poi, avrà sì la mimica facciale di un pezzo d’ebano scolpito, ma ha stile da vendere e di conseguenza anche Luke ne ha, e soprattutto è motivato nel fare ciò che fa: magari la sua missione non sarà epica come quella degli Avengers in Age of Ultron o Civil War, ma facciamo ugualmente il tifo per lui.

Al di là di qualche bella trovata visiva siamo distanti dalla qualità tecnica del meglio in circolazione (The Leftovers, Game of Thrones, o Daredevil per restare in casa Marvel/Netflix) ma comunque in linea di massima, anche se alcune cose sono gestite con troppa fretta e un po’ grossolanamente, nell’arco dei 13 episodi non ci si annoia mai.

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Se non vivete sulla Luna o da qualche altra parte nel Sistema Solare, ma siete esseri umani attenti e vigili ai problemi che affligono la Terra nell’ultimo periodo, saprete di certo quali sono i più recenti fatti di cronaca riguardanti la comunità dei neri d’America (e, facendo un parallelo, si potrebbe allargare il discorso anche al problema immigrati di cui tanto gli italiani amano discutere).

Per una volta, però, dalla televisione arrivano buone notizie: i buoni vincono, e c’è speranza per tutti. Evvai così.

Marvel's Luke Cage

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