Batman v Superman: Dawn of Justice Ultimate Edition – Recensione

Pubblicato il 3 Settembre 2016 alle 20:05

In seguito alla battaglia che ha devastato Metropolis, Batman, il Cavaliere Oscuro di Gotham City, teme le azioni incontrollate di Superman, considerato un salvatore da alcuni e una minaccia da altri. Mentre la legittimità dell’operato di Superman viene dibattuta in Senato, l’eccentrico e geniale Lex Luthor, capo della Lexcorp, scopre un modo per ucciderlo e mette in atto un terribile complotto.

Batman v Superman (2)

I fan si sono scusati con Zack Snyder. E’ stata questa una delle notizie che ha fatto seguito lo scorso luglio all’uscita di Batman v Superman: Dawn of Justice – Ultimate Edition, versione estesa in home video del blockbuster Warner che ha messo di fronte i due massimi supereroi DC Comics. La versione cinematografica arrivata nelle sale lo scorso marzo è stata stroncata dai critici, ha scontentato il pubblico ed ha registrato incassi insoddisfacenti per la casa di produzione.

Per quale motivo la Ultimate Edition abbia spinto alcuni fan, non tutti ovviamente, a scusarsi col regista sui social network resta da capire. Se questi appassionati hanno trovato la versione estesa tanto buona, a maggior ragione hanno fatto bene a criticare la versione cinematografica difettosa e dunque non c’è niente di cui scusarsi. Il pubblico ha pagato un biglietto al cinema per vedere un montaggio incompleto del film ed ha dovuto spendere altri soldi per poter fruire l’edizione integrale. Dovrebbe essere il regista a scusarsi.

Qualcuno sostiene che sia stupido cercare di conferire dignità a dei pupazzi in mutande realizzati anzitutto per un pubblico di adolescenti. E’ senz’altro discutibile pretendere trasposizioni adulte, vietate ai minori, eccessivamente dark e drammatiche, su personaggi il cui primo pubblico di riferimento dovrebbero essere i bambini. E’ altrettanto vero che i supereroi sono pezzi di mitologia moderna e che stanno alla narrativa odierna come i poemi epici stavano ai loro periodi di appartenenza. Si potrebbe quindi provare una certa simpatia per un regista che decide di approcciarsi ad un adattamento restando fortemente ancorato al sostrato mitopoietico del materiale originale e ad apportarvi una chiave di lettura seria e drammatica. Ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Semplicemente non era questo il modo di farlo.

Facciamo un passo indietro. Superman è stato creato da due autori ebrei, figli di immigrati in America. La storia delle origini dell’Uomo d’Acciaio, infatti, segue per filo e per segno quella dell’eroe ebraico per antonomasia: Mosè. Entrambi i personaggi, ancora in fasce, scampano ad un eccidio. I genitori li pongono in una piccola arca sulla quale i neonati viaggiano e, appunto da immigrati, vengono adottati. In cerca delle loro origini, i due giungono in un eremo, il Monte Horeb e la Fortezza della Solitudine, dove parlano col dio-padre che gli affida la missione salvifica.

Tutto questo era presente nel Superman di Richard Donner. Quando Mario Puzo, autore de Il Padrino e soggettista del film, lesse i primi fumetti di Superman, riscontrò immediatamente gli stilemi di una tragedia greca. Marlon Brando venne scelto per interpretare Jor-El non perché fosse perfetto per il ruolo di uno scienziato ma perché era l’unico attore ad Hollywood che potesse interpretare Dio.

Durante il film, però, la metafora non veniva propinata in maniera didascalica, non c’era un Lex Luthor che stava tutto il tempo a parlare di mitologia. Il sottotesto era facilmente intelligibile e veniva giustamente lasciato all’interpretazione del pubblico. La scrittura si concentrava invece sull’approfondimento dei personaggi, sulle loro sfaccettature e le loro fragilità. C’era quel pizzico di commedia, senza eccessi, che permetteva di empatizzare con loro. Lo stesso vale per il Batman di Tim Burton, per lo Spider-Man di Sam Raimi, i primi X-Men di Bryan Singer e per tanti altri buoni film di supereroi usciti in seguito.

Questo significa fare un film tratto da un fumetto. Rendere tridimensionale qualcosa di bidimensionale, non solo nell’estetica. Non basta rifare il costume di Batman uguale al fumetto, mettergli in bocca quelle quattro cose che deve dire e farlo muovere come nel videogioco. Bisogna renderlo umano. Non il Cavaliere Oscuro, intendiamoci. Non il supereroe in costume. La figura iconica resta sul piedistallo. Ma la gente deve credere in Bruce Wayne e fare il tifo per lui.

A questo proposito, l’assunto di Batman v Superman secondo cui il Cavaliere Oscuro sarebbe l’uomo che deve uccidere il dio lascia il tempo che trova. La DC Comics e i suoi autori hanno sempre considerato la Justice League come un pantheon di divinità dell’Olimpo: Superman è Apollo, Wonder Woman è Artemide, Flash è Mercurio, Aquaman è Poseidone e così via. In tal senso Batman è Ade, il signore dell’oltretomba, l’infernale Gotham City. E Ade è un dio. Non è un uomo. Superman contro Batman vale a dire Apollo contro Ade. Un dio contro un dio.

Il fatto che Batman non abbia superpoteri è del tutto irrilevante. Siamo comunque di fronte ad un supereroe, ad una figura mitica, non ad un uomo normale. Quando Superman indossa i panni di Clark Kent, i suoi poteri non spariscono ma, in quel momento, lui è un uomo. Quando si toglie gli occhiali e si apre la camicia (momento iconico assente sia ne L’uomo d’Acciaio che in Batman v Superman), l’uomo assurge trasformandosi in un dio. La stessa cosa vale per Bruce Wayne e Batman.

La trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan è stata completamente tesa a dimostrare che Batman non è un uomo, è qualcosa di più, è un simbolo. Anche nei fumetti, il manto di Batman è stato indossato da più personaggi, proprio a reiterare che l’icona trascende l’uomo sotto il costume. Guardare Batman e definirlo un “uomo” significa mortificarne e sminuirne la dimensione mitica. Il superomismo non si riconduce al semplice fattore biologico dei superpoteri. Per farla breve, se Batman è un uomo, Bruce Wayne che cos’è?

Nel film di Snyder, Batman odia Superman per partito preso. E’ un Batman che uccide e la Ultimate Edition ne aggrava la posizione. In un’intervista il regista si è giustificato affermando che si tratta di omicidio colposo, non volontario (E i “fan”, dicevamo, si sono scusati). D’accordo, è un Batman invecchiato, gli è stato strappato Robin, è brutale, psicotico e paranoico ma è anche un bestione ottuso e xenofobo. Dovrebbe essere il più grande detective del mondo ma non ha un pizzico d’intuito. E’ in atto un complotto di Lex Luthor per incastrare Superman e Bruce abbocca a tutti i suoi stratagemmi, a dir poco pretestuosi, senza nutrire alcun sospetto, senza porsi domande.

La sceneggiatura è costruita sul triangolo classico eroe-antieroe-villain. Superman è l’eroe che fa sempre la cosa giusta (a tal proposito si dovrebbe tornare a discutere su L’Uomo d’Acciaio ma lasciamo stare); Batman è l’antieroe, il vigilante fuorilegge; e Luthor è il villain che compie azioni malvagie con obiettivi altrettanto empi.

Batman vuole usare la kryptonite per uccidere Superman. Lex Luthor vuole fare la stessa cosa per gli stessi identici motivi. Il fatto che l’antieroe e il villain abbiano gli stessi obiettivi sta a dimostrare che c’è qualcosa che non va nella concezione di base dei due personaggi. Batman trascorre metà film cercando di rubare la kryptonite a Luthor per utilizzarla nello stesso modo in cui la userebbe il villain. Un girotondo insensato. Infatti, quando il Cavaliere Oscuro riesce nel suo intento, Luthor non deve far altro che spingere Superman contro di lui. In pratica, Batman e Luthor sono taciti, (neanche tanto) inconsapevoli alleati.

Superman è un’action figure che esiste solo in base alla sua funzione concettuale. E’ un personaggio troppo distaccato. E’ Superman. E’ un giornalista. Ma il suo vero lato umano è abbozzato e privo di autentica profondità. Il pubblico non riesce ad affezionarsi a lui e il momento della sua morte risulta freddo, non è coinvolgente né emozionante.

Lex Luthor sta sullo schermo a ripetervi che Superman è Dio, Batman è l’uomo che deve ucciderlo, Zod è Icaro che è volato troppo vicino al sole, Doomsday è il demonio, l’uomo di Prometeo inteso come mostro di Frankenstein, il giorno del giudizio, appunto, venuto a reclamare l’Uomo d’Acciaio per l’omicidio del primo film, e così via.

Se un film di supereroi viene costruito rispettando i concetti di base dei personaggi, la metafora verrà da sé. Se, al contrario, si parte dalla metafora si finirà per procedere per astrazione e l’enunciato visivo non si sposerà con la pretesa di verosimiglianza delle dinamiche narrative. D’altronde sono stati regista e sceneggiatore stessi a sostenere che questo DC Universe cinematografico si prepone di portare i supereroi in un mondo reale con problemi reali. E di concreto o credibile nella trama di Batman v Superman non c’è assolutamente nulla.

La sensazione è che a Zack Snyder non interessasse granché raccontare una storia e che fosse più preso da quelle tre o quattro sequenze da stilizzare a modo suo. Tre o quattro appunto, le origini di Bruce, il suo sogno post-apocalittico, il duello tra Batman e Superman e parte dello scontro finale. Neanche quindici minuti di film. Il resto della pellicola non denota il benché minimo stile.

Certo, è altamente simbolico vedere Superman che scende tra la gente mascherata nel Giorno dei Morti, o ancora Superman che muore tra le braccia di Lois come nella Pietà michelangiolesca con gli altri due membri della Trinità accanto, le croci sullo sfondo e una fotografia da dipinto rinascimentale. Ma non tutto funziona così bene.

Batman, proprietario della Waynecorp, potrebbe usare la kryptonite per creare armi ipertecnologiche contro l’avversario. E invece indossa un’armatura e crea una lancia. Il riferimento mitologico è chiaro. E’ la lancia con cui Longino ha ucciso Gesù Cristo e Superman la utilizzerà contro Doomsday come l’Arcangelo Michele contro Lucifero. Ma non è realistico. La credibilità del racconto soccombe alla necessità di schiaffare simbolismi ed iconografia in faccia al pubblico.

Batman sta per uccidere Superman ma si blocca per l’omonimia delle rispettive madri. E’ ovvio che “Martha” rappresenti l’anello di congiunzione tra uomo e dio, la figura materna attraverso la quale il dio si è fatto uomo, ma la dinamica narrativa di superficie è ridicola.

E intanto ci si dimentica di scrivere i personaggi e di imbastire una storia che abbia un senso. La versione cinematografica contava tre scene d’azione, dettate da una cgi orribile, su due ore e mezza di film. Nell’Ultimate Edition sono sempre le stesse ma nell’arco di tre ore. Mezz’ora in più per tappare un paio di buchi di sceneggiatura, come sistemare gli infissi di una casa che ha le fondamenta completamente sbagliate.

La scrittura di Batman v Superman è totalmente concentrata ad eviscerare il sottotesto, come se il pubblico non fosse capace di apportare una propria chiave di lettura ed avesse continuamente bisogno di una didascalia esplicativa, tutto per ribadire con forza che questo non è un film per bambini e che potete sentirvi intelligenti e acculturati mentre lo guardate.

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