Le eroine dei videogiochi offendono davvero la dignità delle donne?

Pubblicato il 26 Aprile 2016 alle 12:00

I personaggi femminili dei videogiochi, soprattutto fantasy e picchiaduro, sono spesso considerati sessisti, in quanto rappresentano l’oggettivazione del corpo della donna, e dunque lesivi dell’immagine femminile e offensivi nei confronti della dignità alle donne: ma è davvero così che stanno le cose?

A fondamento di questa accusa c’è un’opinione diffusa ancora più sessista: i videogiochi sono “cose da uomini”, e le donne vengono rappresentate in modo sensuale, con corpi irreali e sproporzionati ed abitini succinti solo per compiacere il maschio, che può arrivare alla dominazione assoluta della donna, “usandola” come preferisce col suo joystick, possedendola completamente.

Questa accusa fa acqua da tutte le parti.

Punto primo: anche le donne amano i videogiochi, e spesso preferiscono scegliere un’eroina per aumentare l’immedesimazione, che in questo tipo di gioco diventa fondamentale

Punto secondo: anche i corpi maschili sono esageratamente muscolosi, e spesso semi nudi, quindi a questo punto dovremmo pensare che anche gli uomini vengono “oggettivizzizzati”.

Il sesso fa parte della vita, ed è normale godere della bellezza di un corpo, soprattutto se rappresenta un ideale irraggiungibile nella vita reale: un disegno deve essere bello ed accattivante per farci sognare, ma resta sulla carta, non deve per forza simboleggiare un modello, e soprattutto non può essere accusato di rendere la donna (o l’uomo) un mero oggetto sessuale, e quindi di veicolare un messaggio negativo.

Lara Croft, protagonista del videogame Tomb Raider
Lara Croft, protagonista del videogame Tomb Raider

Certo, un tempo ci si scandalizzava alla vista della Venere di Botticelli, o della Maya Desnuda di Goya, che si mostrano nude nelle loro bellissime ed armoniose forme, specie la Maya molto maliziosa e sensuale, almeno quanto Paolina Bonaparte scolpita da Canova; non voglio certo paragonare un videogioco ad un’opera d’arte classica, ma credo che qualunque forma di espressione creativa meriti di essere tutelata e non denigrata.

In realtà dietro il corpo dei personaggi, sia maschili che femminili di videogiochi (ma il discorso vale anche per i fumetti), si nasconde una storia, delle caratteristiche ben precise ed una spiccata personalità; in alcuni casi si tratta di figure dotate persino di un elevato spessore morale.

Chi conosce bene i videogiochi sa che non si tratta di personaggi buttati lì a caso: un videogame ha una vera e propria trama, e ogni personaggio ha una sua storia.

Tanto per citarne una Chun li, la prima donna apparsa in un videogioco picchiaduro, Street fighter (1987); la guerriera cinese si era iscritta al torneo allo scopo di vendicare la morte del padre, ucciso dal Generale Bison, il “cattivo” per eccellenza.

Per anni, Chun li è stata il primo e unico personaggio femminile del gioco, a cui solo anni dopo  è stata affiancata Cammy ,una fortissima donna soldato dalle lunghe e bionde trecce.

Entrambe vengono ben rappresentate nel film Street Fighter – Sfida finale (Street Fighter: The Ultimate Battle, 1994); oltre a varie serie tv, sia animate che live action, esiste un altro film dedicato all’eronia cinesa, un pessimo film purtroppo: Street Fighter: The Legend of Chun-Li, che ha per protagonista la canadese Kristin Kreuk :una pellicola scadente e imbarazzante, in una sola parola detestabile per tutti quelli che hanno amato il personaggio e il videogioco.

Chun Li, una delle combattenti di Street Fighter
Chun Li, una delle combattenti di Street Fighter

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Con il fenomeno Street Fighter,

il numero delle guerriere grintose e prorompenti all’interno dei videogiochi picchiaduro è cresciuto in maniera esponenziale: nel 1993 prese piede Martial Champion, con ben due eroine: la sensuale egiziana Titi e la più mascolina Racheal, dal passaporto statunitense; tra i videogiochi in 2d, la medaglia d’oro spetti a  The last Blade (1997), purtroppo finito nel dimenticatoio.

Fu il primo gioco a inserire nel picchiaduro l’elemento Fantasy, strettamente legato alla mitologia giapponese e ambientato nel periodo Meji , in un mondo in cui si avvicendavano demoni, stregoni e samurai.

C’erano 2 personaggi femminili, la sacerdotessa Akari Ichijou, dai capelli viola e il carattere ribelle,  spesso dispettosa e irriverente, sempre pronta a  far smorfie e sberleffi per schernire i suoi avversari, e la bionda e glaciale signora dei ghiacci Yuki, sempre molto seria con la sua lunga lancia Yari , alle quali in The last balde 2 (1998),si aggiunge la bella guerriera armata di katana Hibiki Takane.

Altri due famosi videogiochi, noti anche anche per le loro trasposizioni anime sono  Virtua Fighter, nato nel 1993 che in cui troviamo la cinese Pai Chan e la bionda statunitense Sarah Bryant, e Fatal Fury in cui spicca la sensuale Mai Shiranui, sentimentalmente legata ad uno dei due protagonisti principali, e cioè Andy Bogard.

Nina Williams di Tekken
Nina Williams di Tekken

Ma il più famoso e longevo videogioco picchiaduro, amato tanto quanto Street Fighter è di sicuro Tekken, sfortunato dal punto di vista delle trasposizioni cinematografiche  (pessimo il film del 2010), in cui i personaggi femminili abbondano, anche se nella prima versione c’era solo una donna, la bionda e fatale Nina Williams; tra le più famose Ling Xiaoyu, Julia Chang,Anna Williams,Christie Monteiro,Kunimitsu, Lili Rochefort, Zafina,Alisa Boskonovitch, June e Asuka Kazama.

L’accusa mossa da alcune correnti femministe, secondo le quali disegnare eroine sexy per i videogiochi o per i fumetti sia diseducativo, non regge; bisogna sempre tenere a mente che, anche se i videogiochi di oggi, contrariamente a quelli di un tempo, hanno una grafica realistica, e che grazie al 3d è possibile immedesimarsi completamente nel gioco, i personaggi si trovano su due piani di significazione ben distinti: non si può mescolare il piano della fantasia con quello della realtà; la fantasia serve a farci sognare, non c’è niente di male nella loro prorompenza fisica degli eroi e delle eroine: non devono essere “reali”, ma devono sbalordirci con le loro evoluzioni, la loro magia, la loro lontananza dalla realtà.

Certo non bisogna negare il problema e i danni che l’abuso e l’eccesso di tecnologia possono provocare nella vita quotidiana e il crescente fenomeno di giovani che, perduti nel loro mondo irreale finiscono per chiudersi in casa, nel loro mondo, ignorando o addirittura temendo il mondo reale: esiste uno splendido manga, Welcome in the NHK, che affronta il delicato problema degli Hikikomori, cioè ragazzi che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, chiudendosi in casa e cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Un fenomeno crescente in Giappone, che ormai ha raggiunto anche l’occidente.

Welcome in the NHK in Italia per l'editore J-POP
Welcome in the NHK in Italia per l’editore J-POP

Ma sarebbe assurdo dare la colpa di questo fenomeno esclusivamente ai videogiochi: nel mondo dominato dai social network, in cui gente seduta allo stesso tavolo piuttosto che interagire si isola dal gruppo chattando dal proprio telefono, in cui ogni piccolo evento quotidiano deve per forza essere fotografato e condiviso, anche e soprattutto in casi estremi e di pessimo gusto, accanirsi con i videogiochi mi pare oltremodo semplicistico.

Il problema di base sta proprio nel dividere i due piani di significazione, quello del fantastico e quello reale, ma le cause di un isolamento sono molteplici, di sicuro non analizzabili in un articolo, che ha come solo scopo quello di non accanirsi contro la cultura nerd, associando ingiustamente la figura del nerd a quella della persona mentalmente plagiata e priva di vita sociale.

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