Lo Chiamavano Jeeg Robot – Recensione

Pubblicato il 26 Febbraio 2016 alle 11:15

Enzo Ceccotti è un delinquente romano che conduce una vita squallida fatta di solitudine e furtarelli. In fuga dalla polizia, Enzo fa un tuffo nel Tevere, entra in contatto con una sostanza radioattiva e sviluppa una forza sovrumana che decide di utilizzare per la sua attività criminale. Dovrà però scontrarsi con un pericoloso boss psicopatico noto come lo Zingaro per salvare la condomina Alessia, una giovane dissociata convinta che Enzo sia il protagonista del cartone animato giapponese Jeeg Robot d’acciaio.

Lo chiamavano Jeeg Robot

“Corri ragazzo laggiù, vola tra lampi di blu…” cantava Fogus nella sigla cult di Jeeg Robot d’acciaio, anime di grande successo tra gli anni ’70 ed ’80, tratto dal manga di Go Nagai e Tatsuya Yasuda, nel quale il giovane Hiroshi Shiba si trasformava in un invincibile robot per scagliare i suoi magli perforanti contro gli invasori Yamatai.

Chiariamo subito, Lo chiamavano Jeeg Robot non è e non vuole essere una trasposizione della mecha opera giapponese, bensì un sentito omaggio ad un’icona dalla quale trarre ispirazione per portare sul grande schermo un supereroe tutto italiano. I fan hardcore di Jeeg si mettano quindi il cuore in pace e la smettano di insultare il film sui social senza neppure averlo visto.

Si tratta del secondo tentativo di realizzare un film di supereroi di serie A ambientato nel nostro paese dopo la zoppicante prova di Gabriele Salvatores con Il Ragazzo Invisibile, che invisibile lo è stato davvero perché l’hanno visto in pochi. In precedenza, tra gli anni ’60 e ’80, l’Italia si è cimentata in misere co-produzioni internazionali sfornando eroi in calzamaglia trash quali Superargo, Flashman, la saga dei 3 Superman, l’Uomo Puma e mettiamoci il pur divertente Poliziotto Superpiù di Terence Hill.

Accolto da un plebiscito di critica e pubblico sia all’ultima Festa del Cinema di Roma che al Lucca Comics & Games 2015, Lo chiamavano Jeeg Robot fa finalmente centro, realizzato da Goon Films, etichetta indipendente fondata del talentuoso e coraggioso regista Gabriele Mainetti, al suo primo lungometraggio, che si era già messo in luce con notevoli cortometraggi dalle forti influenze manga tra i quali spicca Tiger Boy, in corsa per una nomination all’Oscar nel 2013.

Scritto da Nicola Guaglianone e dal fumettista Menotti, il film racconta le origini di un supereroe e il suo percorso di transizione seguendo una struttura piuttosto classica a partire dall’immancabile assunto che da un grande potere derivano grandi responsabilità. I superpoteri del protagonista vengono introdotti in maniera piuttosto semplice e la sceneggiatura ha il merito di non concentrarsi sul lato fantascientifico della storia bensì sulla componente umana.

Claudio Santamaria, attore di caratura internazionale, ha già frequentato il mondo del fumetto in Paz! ed ha avuto a che vedere con i supereroi in veste di doppiatore di Christian Bale nella trilogia di Batman di Christopher Nolan. Proprio come Bale, tra l’altro, Santamaria ha dovuto mettere su parecchi chili per interpretare il protagonista Enzo Ceccotti, un ladruncolo di Tor Bella Monaca che vive in uno squallido monolocale e trascorre il tempo libero a divorare budini alla crema e a masturbarsi davanti ai porno.

Mentre il suo corpo diventa d’acciaio, la sua inossidabile disempatia verrà scalfita dalla condomina Alessia. Si potrebbero avere dei pregiudizi nei confronti di Ilenia Pastorelli, ex-concorrente del Grande Fratello al suo esordio sul grande schermo. Invece l’attrice romana conquista il pubblico nel ruolo della giovane dissociata, dolce, malinconica, divertente, che si rifugia nel mondo di fantasia di Jeeg Robot, raggiunta da Enzo nel simbolico abbraccio davanti al proiettore. Il rapporto tra i due è il motore emotivo della storia e vive momenti di tenera poesia alternati a scene di crudo cinismo rappresentate da quel palloncino rosa che si va a fermare contro una lastra di vetro.

Già apprezzato ne L’ultimo terrestre di Gipi, Luca Marinelli è mastodontico e gigioneggia nel ruolo dello Zingaro, una sorta di Joker che sembra disegnato da Andrea Pazienza. Villain perfettamente sfaccettato, esilarante ed estremo, terrificante e patetico, capace di atterrire e far ridere nello stesso momento. Se Enzo e Alessia guardano a Jeeg, genuino mito di carta, per elevarsi, lo Zingaro, cantante da quattro soldi, aspira alla decadenza dell’effimero successo mediatico. Un villain pulp moderno la cui corruzione viene esteriorizza nella trasformazione finale.

Il film parte da un impianto neo noir che richiama subito alla mente i lavori di Sollima. I comprimari sono solo delinquenti e non ci sono figure istituzionali. Assistiamo ad una faida tra la criminalità romana e quella napoletana, praticamente Suburra contro Gomorra, serie quest’ultima dalla quale ritroviamo Salvatore Esposito in un ruolo di supporto.

L’unico passaggio forzoso nella vicenda riguarda una scena molto importante per l’identità segreta del protagonista. Per il resto, la narrazione procede in miracoloso equilibrio tra dramma e commedia, realismo e surrealismo, toccando punte di epica e tragedia ed inanellando ottime scelte di regia e fotografia. Gli effetti visivi non fanno mai il passo più lungo della gamba e si ricorre soprattutto alla funzionalità e all’inventiva degli effetti pratici. I combattimenti sono violentissimi ed espliciti. Molto bello lo scontro finale allo stadio con l’urlo della folla, come un combattimento tra moderni gladiatori. Iconico l’epilogo.

Alessia ha bisogno della sigla di Jeeg Robot d’acciaio per addormentarsi. In un momento della storia la ragazza non ha modo di ascoltarla. Enzo la accoglie allora tra le braccia. Ci si potrebbe aspettare che sia lui a cantarle la sigla per cullarla ma non succede. Sarà solo durante i titoli di coda, quando conosciamo il destino dei protagonisti, che sentiremo la voce di Claudio Santamaria intonare malinconica: “Jeeg va, cuore e acciaio, Jeeg va…”

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