Pixels – Recensione

Pubblicato il 29 Luglio 2015 alle 13:50

Negli anni ’80, gli amici Sam e Will, il nerd Ludlow e l’arrogante Eddie erano giovanissimi campioni di videogiochi arcade. Circa trent’anni dopo, una razza aliena fraintende un filmato terrestre interpretandolo come una minaccia e attacca il nostro pianeta utilizzando i videogiochi come modelli per i loro assalti. Divenuto Presidente degli USA, Will chiede aiuto a Sam per mettere insieme la squadra degli Arcaders e salvare il mondo da Pac-Man, Donkey Kong e le altre minacce videoludiche.

Pixels

Nostalgia anni ’80, la rivincita dei nerd tanto in voga in questo periodo e il fascino dei videogiochi arcade. A mescolare gli ingredienti è stato chiamato Chris Columbus, sceneggiatore di alcuni film adolescenziali cult del periodo in questione (Gremlins, I Goonies, Piramide di Paura), regista di commedie di grande successo (Mamma, ho perso l’aereo 1 e 2, Mrs. Doubtfire, Nine Months) nonché di trasposizioni da romanzi fantasy sempre con giovani protagonisti, quali i primi due Harry Potter e il primo Percy Jackson. I motivi per sperare in un buon film c’erano tutti. Purtroppo il risultato è un autentico disastro.

La sceneggiatura di Tim Herlihy e Timothy Dowling è quanto di più svogliato e banale si sia mai visto. Una commediola avventurosa con meno spessore de I Fantastici 4 di Tim Story o del Lanterna Verde di Martin Campbell, tra gag puerili che non strappano un sorriso neanche per sbaglio e sporadiche scene d’azione eccessivamente lineari e senza uno straccio d’idea.

Il concept di base è tutto sballato. Gli alieni attaccano la Terra prendendo la forma di mostri e personaggi dei classici videogiochi arcade. Quindi vengono chiamati a respingere l’invasione gli esperti giocatori di quel periodo. Peccato che affrontare tali avversari nel mondo reale non abbia niente a che vedere col giocare ai videogames. Un esempio. Per affrontare Pac-Man i quattro protagonisti devono, per farla breve, guidare delle automobili. Cos’ha a che vedere col giocare al classico Pac-Man? Servono dei piloti, non dei videogiocatori.

La scrittura dei personaggi va dalla A alla B. Torna a ricomporsi la collaudata coppia comica Adam Sandler-Kevin James. Il primo è il solito eroe bamboccione pieno di buoni propositi come ne abbiamo visti a migliaia, il secondo è un Presidente USA troppo caricaturale anche per una commedia. Sarebbe più adatto per una parodia alla Scary Movie. Josh Gad è lo stereotipo del nerd che vive con la nonna e che s’innamora di un’eroina virtuale, cliché di cui non se ne può più e che è stato evoluto perfino in The Big Bang Theory.

Tra le recensioni americane che hanno stroncato il film, alcune hanno mosso accuse di sessismo. A ragion veduta. L’unica vera presenza femminile è Michelle Monaghan e siamo ancora alla concezione secondo cui per dare vigore ad una donna in un film ci sia bisogno di metterle una divisa addosso, irrigidirla e non farle dire neanche una battuta divertente. Personaggio monodimensionale che sta sullo schermo solo per la prevedibile storia d’amore con Sandler. Quando, finalmente, l’eroina entra in azione dev’essere puntualmente salvata dal principe azzurro. Per il resto la pellicola propone solo donne-trofeo, da Ahsley Benson fino ai camei di Serena Williams e Martha Stewart.

Stereotipo per stereotipo, la pecora nera del gruppo, l’arrogante, l’avanzo di galera non può essere altri se non il “grottesco Folletto”, come viene definito con disprezzo in Game of Thrones il grandioso Peter Dinklage che pure dà qui una lezione di recitazione al resto del cast. Trascurabili i camei Di Dan Aykroyd e Sean Bean. Unico momento cult, Toru Iwatani, papà di Pac-Man, che cerca di fermare la sua creatura.

L’idea sembra quella di fare degli Arcaders una sorta di nuovi Ghostbusters, con Q*bert nel ruolo di Slimer, ma non funziona niente. Un film senz’anima, inconsistente, irritante, eccessivamente leggero che fallisce come mezzo d’intrattenimento sia sul piano dell’action che sul versante comico. Il peggior film di Chris Columbus. Non vale neanche le 200 lire che avreste inserito in un videogame arcade per una partita che sarebbe stata senz’altro più soddisfacente.

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