Dylan Dog n. 346: … e cenere tornerai – Recensione

Pubblicato il 26 Giugno 2015 alle 13:22

La vita di Dylan Dog è cambiata. Bloch è andato in pensione, il nuovo ispettore Carpenter è una persecuzione, John Ghost è un invincibile avversario e la sua vita sentimentale ha subito traumatiche svolte. Senza clienti e con un’ingiunzione di sfratto, Dylan precipita nella paranoia, caccia Groucho e si barrica in casa. Ma sarà solo l’inizio di un allucinante incubo ad occhi aperti.

Dylan Dog 346_cover

Sotto la guida di Roberto Recchioni, da ormai due anni nuovo direttore editoriale della testata, Dylan Dog è andato incontro ad una serie di importanti cambiamenti che l’autore romano ha introdotto con Spazio profondo, una storia d’ambientazione fantascientifica, pubblicata lo scorso ottobre, che fungeva da metafora per la transizione che la serie stava vivendo. … e cenere tornerai, la nuova prova di Paola Barbato, disegnata dai fratelli Cestaro, può essere considerata un sequel ideale di quell’albo.

La sceneggiatrice milanese è sempre stata la più abile ad insinuarsi sotto la pelle di Dylan Dog, torturandolo e traendone quanto di più emotivamente autentico possibile. La Barbato sembra prediligere per l’indagatore dell’incubo una forma di narrazione che, da sempre, ha particolare presa sui lettori. Pone molto spesso il protagonista al centro dell’incubo, glielo fa vivere sulla propria pelle invece di limitarlo ad indagare su quello del(la) cliente di turno.

In questo caso, il percorso di Dylan in veste di senzatetto, già di per sé peculiare, diviene solo la componente più superficiale di una surreale vicenda metalinguistica. L’insofferenza del personaggio per i mutamenti in atto nella sua vita sembra la stessa di quei lettori scontenti del nuovo corso narrativo. Dylan viene sfrattato dalla sua vecchia esistenza che brucia tra fiamme purificatrici e si ritrova smarrito in una nuova realtà che fatica ad accettare.

Groucho e Bloch, già personaggi di natura citazionista, non sono più riconoscibili e si confondono con altre icone della cultura popolare in quella marea di citazioni nella quale la serie ha sempre navigato. Viene richiamato in causa il Circo degli Orrori partorito da Fabio Celoni ne I Raminghi dell’Autunno (n. 333 della serie), stagione appunto del cambiamento.

Le suggestioni kafkiane sono inevitabili, tra la paranoia del complotto e la metamorfosi in atto. Qui però non è il protagonista a mutare bensì il mondo ai suoi occhi, accentuandone l’alienazione, colta alla lettera con la raffigurazione di alcune creature extraterrestri ed insettoidi del cinema di fantascienza. Particolarmente potente l’immagine di Dylan che chiede l’elemosina in una Craven Road popolata di morti viventi, lettori assuefatti ad una serie impantanata nel manierismo degli ultimi anni e che lotta per riconquistare libertà autoriale.

La sceneggiatura è brillantissima, dettata da dialoghi spigliati e qualche balloon pensiero solo quando necessari per l’approfondimento introspettivo di Dylan. Raul e Gianluca Cestaro traducono i testi della Barbato con un tratto solido e concreto, cesellano con le chine l’intensità dei primi piani e si divertono nella raffigurazione di una valanga di personaggi della cultura pop. L’angolazione d’inquadratura per ogni vignetta è sempre ben studiata, con potenti effetti comunicativi sul piano emotivo, stranianti o spettacolari. E’ soprattutto la resa della trasformazione di Dylan ad essere particolarmente efficace con l’indagatore dell’incubo sempre più trasandato fino a perdere anche il suo consueto abbigliamento.

L’epilogo apre nuovi scenari e lascia il lettore in uno stato d’incertezza. E’ un albo che farà probabilmente arrabbiare i maniaci delle storielline convenzionali della serie ed è un bene che sia così. L’intento della storia è proprio quello di mettere il vecchio Dylan Dog contro quello nuovo per restituire al personaggio il fervore creativo di cui ha bisogno.

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