Dylan Dog n. 342: Il cuore degli uomini – Recensione

Pubblicato il 27 Febbraio 2015 alle 17:54

Dylan Dog decide di mettere fine all’ennesima storia d’amore spezzando il cuore alla bella Dora. Norman, il padre della ragazza, rapisce l’indagatore dell’incubo e lo sottopone a terribili torture per spingerlo a confessare di non averla mai amata. Incapace di mentire a se stesso e agli altri, Dylan deve intraprendere un viaggio introspettivo per capire se stesso e la natura delle proprie relazioni sentimentali.

342

Nel mese di San Valentino, il nuovo corso narrativo di Dylan Dog si sofferma sulla travagliata vita sentimentale dell’indagatore dell’incubo. Nei mesi scorsi, la direzione editoriale di Roberto Recchioni, coadiuvato da Franco Busatta, ha dato qualche scossa allo status quo della serie con il pensionamento dell’ispettore Bloch, sostituito dall’ostile ispettore Carpenter, e l’introduzione del nuovo villain John Ghost.

Recchioni decide ora di affrontare uno degli altri aspetti fondamentali che caratterizza da sempre il personaggio creato da Tiziano Sclavi. In oltre cinquecento storie, tra serie regolare e albi fuoriserie, Dylan è passato da una fidanzata all’altra, incapace di mantenere un rapporto duraturo e solo alcune delle sue fiamme hanno lasciato un segno davvero indelebile, come l’amore di gioventù Marina Kimball, la guerrigliera dell’IRA Lillie Connolly o la prostituta Bree Daniels.

Tuttavia Dylan ha sempre sostenuto di aver amato ogni compagna. Affermazione che può risultare ipocrita e controversa ed è proprio il nervo su cui lo sceneggiatore romano va ad incidere la lama. Come di consueto, l’albo è un coacervo di citazioni e di rimandi ma la principale fonte d’ispirazione pare essere The Loved Ones, notevole horror diretto da Sean Byrne, uscito nel 2009, nel quale un giovane introverso viene sequestrato da una ragazza che ha respinto e dal folle padre di lei per essere sottoposto ad orribili torture.

A Dylan accade la stessa cosa ad opera di Dora, con la quale ha appena troncato, e di suo padre Norman, nome che è un facile tributo al Bates di Psyco, capolavoro di Hitchcock che pure trattava di morboso amore filiale che qui si rovescia diventando ossessione paterna. L’alternarsi di tante belle fanciulle a fianco dell’indagatore dell’incubo ha sempre accostato il personaggio a 007 e alle sue Bond-girls. Non sembra un caso, quindi, che Norman sia un ex-agente dell’MI6.

Piero Dall’Agnol traduce la sceneggiatura con tratto rapido, affusolato e stilizzato e un uso straordinariamente espressivo dei chiaroscuri. Le chine ombreggiano, cesellano, sporcano, affogano la vignetta nella tenebra per poi perdersi nel bianco innevato delle scenografie esterne. Il contesto gretto e tangibile si contrappone alle sequenze oniriche velate di sfumature grigie a matita.

Sul piano reale, Norman cerca follemente di farsi strada verso l’intima essenza di Dylan scavando nel suo corpo con la tortura. Nella dimensione onirica è invece Dylan a diventare un sadico aguzzino ed un cannibale sentimentale. Un’esperienza traumatica dal quale l’antieroe emergerà con una nuova e più onesta consapevolezza di sé. Ridotta al minimo ma fondamentale la presenza di Groucho. Alla ricerca del capo scomparso, è intrappolato in un limbo nel quale viene privato del suo ruolo di spalla e perde la sua verve comica.

Dare amore per riceverne, una ricerca tra speranza e illusione che non ha soluzione di continuità nella dimensione cristallizzata in cui vive il protagonista di una serie a fumetti, destinato anche in futuro a passare da una fidanzata all’altra. Ma Recchioni lo evolve, lo attualizza, ne porta alla luce le contraddizioni e lo rende ancora più umano e sfaccettato.

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