Wonder Woman: io Sono Diana Prince, Recensione DC Comics Story n. 21

Pubblicato il 13 Dicembre 2014 alle 10:30

Arriva una storica sequenza di Wonder Woman che costituì un punto di svolta importante nella vita della Principessa Amazzone! Cosa succederebbe se Diana perdesse i suoi poteri? Scopritelo in questo volume firmato da Dennis O’Neil e Mike Sekowsky!

wonder woman 178

Wonder Woman ha un’importanza innegabile poiché considerata prototipo della supereroina, anche se dal punto di vista cronologico non fu la prima ad apparire nei comic-book americani. La Principessa Amazzone fa parte della triade del DCU insieme a Superman e Batman e nel corso dei decenni la sua serie ha ottenuto buoni riscontri. Creata nel 1941 da William Moulton Marston, ebbe sin dal principio una valenza quasi eversiva. Convinto femminista, Marston la delineò come una donna forte e sicura di sé che agiva in un mondo dominato dagli uomini. La sua tendenza ad affrontare avversari maschili indispettì i lettori più conservatori e i suoi abiti succinti e le sue forme procaci suscitarono polemiche. Nei primi episodi c’era in effetti un elemento di erotismo lievemente bondage, dal momento che Diana veniva spesso legata e imbavagliata dai villain.

D’altronde Marston non era un individuo convenzionale nemmeno nel suo privato (se volete saperne di più leggete Supergods di Grant Morrison) e la sua peculiare visione dell’esistenza permeò le vicende di Wonder Woman. In seguito il serial fu affidato a Robert Kanigher e negli anni sessanta, grazie alla costante presenza nel comic-book della Justice League, Wonder Woman fu uno dei DC character più popolari. Tuttavia, la concorrenza degli eroi Marvel, più umani, imperfetti e al passo con i tempi, si fece sentire e l’editor Julius Schwartz decise di correre ai ripari. I giustizieri DC erano troppo perfetti e coinvolti in avventure fantasiose che nel clima socio-politico ricco di fermenti degli anni sessanta non potevano attrarre le nuove generazioni. Ci voleva maggiore realismo.

Superman, Batman, Lanterna Verde e altri character furono dunque inseriti in contesti narrativi adulti e meno ingenui e Wonder Woman non costituì certo un’eccezione. In questo volume infatti avrete modo di leggere alcuni episodi realizzati nel biennio 1968-1969 che costituirono un radicale mutamento della serie. Si trattò di anni cruciali e i fumetti ne furono influenzati. A inaugurare il nuovo corso di Wonder Woman c’è Dennis O’Neil, responsabile di analoghe operazioni nei mensili di Superman e Batman e autore della sequenza di Lanterna Verde e Freccia Verde impegnati in un viaggio on the road. Nel n. 178 della serie originale O’Neil trasforma la bella amazzone. Per una serie di ragioni, la madre Ippolita e il suo popolo di guerriere sono costrette ad abbandonare il nostro piano dimensionale. Diana decide di non seguirle perché si è affezionata agli esseri umani e inoltre è innamorata di Steve Trevor che per giunta si trova nei guai.

Ippolita rispetta la volontà della figlia ma ciò ha un prezzo. Deve rinunciare al retaggio semidivino e di conseguenza perde i poteri. Le atmosfere narrative quindi mutano. I tempi erano ormai diversi e non c’era più posto per aerei invisibili, lazi magici e divinità greche combattive, in pratica per tutti gli elementi che avevano fino a quel momento contraddistinto la serie. Wonder Woman diventa semplicemente Diana Prince, una ragazza come tante inserita in ambientazioni realistiche e quotidiane. Non significa però che manchi l’azione. Mike Sekowsly, infatti, che sostituisce quasi subito O’Neill ai testi, introduce il mistico cieco I-Ching che diviene il co-protagonista dell’albo. Costui insegna a Diana le arti marziali e la splendida eroina si atteggia alla stregua di un agente speciale stile Modesty Blaise.

La nuova Wonder è vulnerabile e non invincibile ma più umana e coinvolgente. Sekowsky delinea una sequenza mozzafiato imperniata sulle macchinazioni della perfida Dr. Cyber, delineando trame dal ritmo sincopato e adrenalinico. La vicenda si svolge in un’America le cui strade sono popolate da hippies, da Hell’s Angels e da giovani contestatori; e in una Londra influenzata dal clima beat del periodo Swingin’. Sekowsky si occupa pure dei disegni e si diverte a rappresentare Diana come una tipica ragazza dei sixties che indossa abiti di Carnaby Street e vive in ambienti contrassegnati da un decor pop alla Andy Warhol, con riferimenti grafici che richiamano l’arte psichedelica e optical di quel magico periodo.

I testi e i dialoghi sono tutto tranne che retorici e ancora oggi le storie sono da annoverare tra i migliori prodotti made in DC. Sekowsky non rinuncia però del tutto al fantasy e ciò avviene negli ultimi episodi del volume che vedono Diana in lotta contro il dio Ares. Ma in ogni caso la solarità della Golden Age è assente. Quanto ai disegni, noterete che lo stile di Sekowsy è diverso da quello delle avventure della Justice League tradotte su DC Comics Story. Il tratto si è evoluto e il penciler ricorre a una costruzione particolare delle tavole, con vignette ampie di grande impatto visivo. Bisogna poi specificare che i risultati eccellenti da lui raggiunti si devono anche alle chine dell’ottimo Dick Giordano. Questo è uno dei momenti più innovativi e originali della lunga vita editoriale di Wonder Woman. Da non trascurare.

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